Il 1 maggio 1867, a Chicago, entra in vigore la prima legge che riduce la giornata lavorativa a 8 ore (per sei giorni). Le radici e le ragioni di questa festa sono qui: nella battaglia per dare dignità al lavoro. È stata una battaglia lunga: in Italia la settimana lavorativa di 40 ore, 8 al giorno con due di ferie, per gli operai è arrivata solo nel 1969, con l’Autunno caldo. Eppure, nel tempo quelle che sembravano conquiste utopiche, sono diventate realtà: è stato proibito il lavoro minorile, ad esempio, si sono alzati finalmente i salari oltre la soglia della sussistenza. Non è stato un processo facile, né scontato. L’aumento della produttività lo ha reso possibile, certo. Ma ci sono volute le lotte del movimento socialista, e poi cattolico, e dei sindacati, affinché quegli incrementi di produttività fossero redistribuiti dal capitale al lavoro.

La dignità del lavoro ha spinto la produttività a crescere ulteriormente. Era così già agli albori della rivoluzione industriale: il grande storico inglese Robert Allen ha mostrato come nel Settecento siano stati proprio i più alti salari, in Inghilterra, a fornire gli incentivi per investire nelle prime macchine. E furono un secolo dopo alle origini dei progressi tecnologici degli Stati Uniti, quindi della Germania, i due paesi leader della seconda rivoluzione industriale.

Noi che paese vogliamo essere? Ancora oggi, in Cina, in Vietnam la giornata lavorativa dura di norma di 12 ore, per 6 giorni alla settimana. Pensiamo di poter competere con quei paesi svalutando anche noi il lavoro? A lungo abbiamo fatto proprio questo, negli anni Novanta e Duemila. Eppure, proprio quelli sono stati i decenni del declino. In cui la produttività stagnava: non certo perché i lavoratori poltrivano, ma perché il nostro sistema economico era specializzato in settori poco innovativi, leggeri; settori compatibili con bassi salari e bassa formazione. Non a caso, i nostri giovani più preparati emigravano all’estero. Alimentando il circolo vizioso del declino.

Come spezzare questo circolo negativo? Innanzitutto, ricominciando a dare al lavoro quel che merita: introducendo il salario minimo e adeguando gli stipendi all’inflazione. Quindi, iniziando a dare ai lavoratori anche dignità e voce: con una legge sulla rappresentanza sindacale, finalmente, come ci chiede la Costituzione; con una legge per la democrazia economica, come propone ora una direttiva del Parlamento europeo (è la cogestione sul modello tedesco). In Germania, gli studi mostrano che in questi anni il salario minimo e la cogestione hanno contribuito a migliorare la produttività, rafforzato la resilienza delle imprese e incentivato quelle migliori. Dare dignità al lavoro non è soltanto giusto. Ma può far bene, oggi, all’economia italiana.

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