Lo scandalo del Qatar non è solo una questione legale. È la punta dell’iceberg di una questione morale, vero: molto diversa però da quella denunciata da Enrico Berlinguer. Non nasce dalla forza e pervasività della politica, semmai dalla sua debolezza; e non riguarda solo l’Italia.

È anzi per molti aspetti, assieme alla sfida ambientale, la questione decisiva del nostro tempo, su una dimensione globale: in che modo noi, le liberal-democrazie, ci relazioniamo con regimi oppressivi, che calpestano tutti i diritti dell’uomo (civili e politici, ma anche sociali, ambientali), si fanno beffe perfino dello stato di diritto e delle nostre regole, ma che pure ci offrono la possibilità di fare grandi affari?

Affari e ideali

Può il profitto passare sopra i nostri valori, e non solo in maniera illegale (come con il caso del Qatar) ma anche legale? Sono anni, infatti, che l’occidente fa finta di non vedere quello che succede nei paesi arabi del Golfo, dagli Emirati all’Arabia Saudita, al Qatar.

Quei paesi simboleggiano una visione estrema di capitalismo che rifiuta ogni legame con la democrazia e i diritti dell’uomo, e nella quale si inscrivono, con gradazioni e differenze, numerosi altri regimi nel mondo, a cominciare dalla Cina (ma anche l’Iran, la Russia). Anche in modo lecito e trasparente, da tempo diversi leader politici dell’Occidente, da Renzi a Schröder, fanno affari con loro o con le loro imprese.

Ma tutti questi paesi, alcuni nostri alleati nello scacchiere geopolitico e altri avversari o nemici, sono accomunati da un dato: perseguono uno sviluppo economico e tecnologico sganciato dall’ideale dei diritti umani.

Un codice di condotta

Il paradosso è che l’istituzione occidentale che con più coerenza si è battuta contro il loro modello, rivendicando a più riprese il valore universale della difesa della libertà e dei diritti, è proprio il parlamento europeo. Un esempio è la risoluzione di condanna del Qatar adottata a novembre, che fra l’altro stigmatizza anche il modo in cui quel paese ha ottenuto l’assegnazione dei mondiali.

E il 15 dicembre, appena sei giorni dopo lo scoppio dello scandalo del Qatar, il parlamento europeo ha adottato una serie di misure (fra cui norme più efficaci sull’incompatibilità e la trasparenza e la richiesta di istituire un unico organismo etico, indipendente, per tutte le istituzioni  europee) che, se applicate, renderanno molto più difficile il ripetersi di episodi del genere. Semmai dovremmo pensare a introdurre simili norme anche in Italia.

Ma più in generale, tutti i paesi democratici dovrebbero dotarsi di un codice di condotta coerente, e severo, per i rapporti con i regimi oppressivi; un codice che vincoli sia la politica sia il mondo degli affari al rispetto dei diritti umani. Questo è il vero nodo. Cruciale, se non vogliamo che a poco a poco siano quei paesi a trascinarci nelle sabbie mobili del loro modello e dei loro metodi.

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