La caccia alla guida suprema Ali Khamenei è ormai aperta ma niente è meno sicuro che con la sua scomparsa il regime teocratico crolli. Il governo di Netanyahu ha approfittato della sospensione dei negoziati tra Usa e Iran per attaccare ma nessuno può dire con precisione se tutti i siti nucleari pericolosi siano stati annientati.

In realtà nell’operazione israeliana contro Teheran non ci sono certezze: il paese è troppo grande e complesso per poter controllare tutto. Anche per questo Donald Trump sta aspettando a usare la superbomba e a coinvolgersi direttamente. Gli americani non vogliono essere costretti a fare un’altra guerra in Medio Oriente dopo il fallimento di tutte le precedenti.

L’idea è di portare un solo colpo decisivo. La discussione tra i vertici strategici israeliani e americani verte sul “regime change” e incontra lo scetticismo europeo, canadese e giapponese: tutti i tentativi precedenti (Baghad, Kabul, Tripoli) hanno deluso o creato più caos.

I falchi di Tel Aviv e Washington insistono: finiamo il lavoro una volta per tutte, decapitiamo la teocrazia. Ma il paese è troppo lontano per poter essere certi dei risultati e intriso di ideologia nazional-islamica da troppi decenni. La fine di Khamenei sarebbe simile a quella di Nasrallah ma con una notevole differenza: nessun esercito nemico potrebbe minacciare il territorio iraniano né in Iran sono presenti forze alternative come in Libano. Almeno non sono visibili: tutti gli oppositori possibili sono all’estero e sappiamo com’è andata a finire in un contesto simile in Iraq.

Il martirio di Khamenei sarebbe anzi benzina sul fuoco manipolata dagli ayatollah che sapientemente in questi anni hanno mischiato temi religiosi e nazionalisti assieme, creando una miscela quasi indissolubile. Il regime iraniano nato nel 1979 è più resiliente di quanto si pensi: ha resistito a molti attacchi interni ed esterni, incluse le sanzioni e gli 8 anni di guerra con l’Iraq armato dall’Occidente. Molte volte vi sono state sollevazioni popolari di massa contro il regime: quelle studentesche del 1999; quelle post elettorali del “movimento verde” nel 2009-2010 e quelle del 2022 dopo l’uccisione di Masha Amini che hanno dato luogo a “donna vita libertà”.

Inoltre il regime ha dovuto affrontare varie rivolte nelle zone delle minoranze etniche, come tra gli azeri, i curdi, gli arabi o i baluchi. Nonostante queste spinte destabilizzanti Teheran è sempre riuscita a controllare le proteste e a riprendere la mano anche quando dall’esterno sembrava sul punto di crollare.

Ciò dipende dalla capacità del regime di adattarsi a situazioni sempre nuove e al controllo ideologico assoluto del patriottismo farsi-iranico. La creazione di corpi separati di sicurezza dello stato ha contribuito a radicare il regime teocratico nella popolazione, soprattutto tra la classe meno abbiente che ha potuto usarlo come ascensore scoiale.

In particolare i pasdaran, guardiani della rivoluzione, sono diventati un vero e proprio stato nello stato, più importanti ormai del ceto dei mollah (cioè del clero sciita), considerati troppo instabili e divisi in molteplici scuole di pensiero.

Il contrattacco iraniano con i missili sulle città israeliane, anche se non potrà essere distruttivo, dimostra che il regime è ancora ben strutturato e questo conta sul fronte interno. Non si potranno abbattere gli ayatollah come si sta facendo con Hamas o con gli Hezbollah libanesi (che tuttavia non sono definitivamente sconfitti).

Israele non può vincere questa guerra anche perché non può mettere “boots on the ground” in Iran (salvo il caso del Mossad) come ha fatto in Libano o a Gaza. Resta tuttavia il fatto che l’Iran attuale non ha alleati né amici: davvero nessuno vuole che Teheran abbia la bomba: nemmeno i russi come i sauditi, i turchi, gli egiziani e ovviamente gli europei.

Forse è questo isolamento che spingeva la teocrazia all’arma nucleare, a imitazione della Corea del Nord: un modo per perpetuarsi e difendersi. Forse è troppo tardi ma non si può mai sapere: l’odio accumulato da tutte queste guerre (in specie Gaza) è talmente forte da sembrare anche più micidiale dell’atomica.

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