La legittimazione della Lega da parte di una autorità riconosciuta internazionalmente come Mario Draghi è una cattiva notizia per il resto dell’Europa. La cacciata di Matteo Salvini grazie, sottolineiamo agli smemorati, alla determinazione di Giuseppe Conte, e l’ emarginazione di quel partito fino alle recenti dimissioni del governo, vennero salutate con un sospiro di sollievo da tutto il mondo.

Non esiste una sola dichiarazione da parte di esponenti politici occidentali che, pur con le cautele imposte dai codici della diplomazia, abbia espresso rammarico per quanto stava accadendo in Italia nel settembre scorso.

Questo flashback serve anche per ricordare le strane interpretazioni circolate in questi giorni sul “ritorno” dell’Italia nell’alveo europeo e occidentale come se il governo precedente, e il Pd in particolare, non avessero esibito credenziali sufficienti.

Per avere una conferma degli orientamenti di politica estera e del riferimento al sistema di alleanze dell’Italia basterebbe rileggere il discorso della fiducia del Conte II laddove sosteneva «un rilancio dell'Unione, che punti a costruire un'Europa più solida, inclusiva, vicina ai cittadini, attenta alla sostenibilità ambientale, alla coesione sociale e territoriale» e la centralità delle relazioni transatlantiche e del rapporto con gli Stati Uniti. 

E per quanto riguarda gli ondivaghi Cinque Stelle, al di là del comportamento irreprensibile del ministro degli Esteri Luigi di Maio (una sorpresa per molti, in effetti) fa fede anche quello degli europarlamentari pentastellati a Strasburgo che, già prima del 2019, si differenziava  sia dagli euroscettici di Nigel Farage che dai leghisti, in quanto votavano più in accordo con il gruppo liberale che con qualsiasi altro (si vedano i saggi di Stella Gianfreda e Benedetta Carlotti, The different twins in Italian Political Science, e di Edoardo Bressanelli, e Margherita De Candia, Love, convenience, or respectability? Understanding the alliances of the Five Star Movement in the European Parliament in Rivista Italiana Di Scienza Politica, entrambi pubblicati 2018).  

La trappola per Draghi

Semmai, proprio il ritorno al governo di Silvio Berlusconi e di Matteo Salvini (la cui conversione europeista in 24 ore convince solo i grulli) rende meno europeista e occidentale di prima il governo Draghi, al di là della garanzia assoluta offerta del presidente del Consiglio, ovviamente.

Di Silvio Berlusconi conosciamo gli inquietanti penchant verso le autocrazie dell’Est. Non si tratta solo della sua storica “amicizia”, mai rinnegata, con Vladimir Putin , ma anche dell’apertura di credito al dittatore bielorusso Alexander Lukashenko dal quale accettò, unico in Europa, un invito ufficiale quando era capo del governo.

Va ricordato anche il suo euroscetticismo di lungo periodo – le invettive contro “l’euro di Prodi” - corretto solo di recente per ottenere un giudizio positivo dalla Corte europea dei diritti umani per mondare la sua condanna ( piccolo particolare di cui tutti si dimenticano) e per essere riammesso a pieno a titolo nel Ppe. 

Comunque oggi il problema non è rappresentato dall’astro calante bensì da quello montante di Salvini per via dei suoi rapporti  con la destra populista in tutta Europa.

Gli alleati di Salvini

La legittimazione della Lega può fornire un assist importante al Rassemblement National francese di Marine Le Pen, ai populisti nostalgici tedeschi dell’Afd, e anche al Pvv olandese di Geert Wilders in vista delle elezioni del 17 marzo (chissà poi perché gli olandesi vanno al voto e gli italiani proprio non potevano…). Il presidente francese Emmanuel Macron ebbe gioco facile a mettere all’ angolo la leder del Rn alle scorse presidenziali evidenziando il suo anti-europeismo.

Ora che il partner prediletto della Le Pen è stato accettato da un campione della ever closer union come Mario Draghi sarà molto difficile per Macron usare gli stessi argomenti. E visto lo scarso consenso di cui il presidente francese gode attualmente, come scriveva l’altro giorno Le Monde, i  molti che già oggi sono tentati dall’astensione ad un nuovo ballottaggio tra lui e Le Pen potrebbero crescere ulteriormente se quest’ultima gioca la carta del riconoscimento europeo.

L’eco in Germania

Ancora più insidiosa è l’offensiva che può portare l’AfD in Germania, anch’ esso emarginato da Angela Merkel. Questo partito può invocare l’esempio italiano sia per offrirsi come partner credibile se nella corsa per la cancelleria vince la linea di Friedrich Merz, piuttosto disponibile ad un dialogo con i populisti, sia per attrarre i voti di destra conservatrice se vince la linea della chiusura di Armin Laschet.  

In sostanza, i governi europei che sono incalzati da una opposizione populista di destra rischiano di perdere l’arma più efficace nei loro confronti: la loro inaffidabilità democratica in quanto estremisti anti-europei. L’ingresso di Salvini nel governo Draghi mette quindi in movimento tutta la politica europea rendendo più insidiosa la sfida dei populisti ai partiti moderati “mainstream”.   

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