Gli aspetti tecnici di dettaglio e le implicazioni politiche concrete della riforma Casellati sono state analizzate su questo e altri giornali. Ci sono però aspetti filosofici che sono passati sotto silenzio. La riforma ha l’intento di legare il presidente del Consiglio alla volontà espressa dall’elettorato (o almeno dalla maggioranza di esso). Questo giustifica i vari dispositivi previsti per bloccare la possibilità di un premier che non sia prodotto, più o meno diretto, delle scelte elettorali dei cittadini.

La riforma esprime l’idea che la scelta della maggioranza dell’elettorato legittimi il premier e il suo operato. Non i valori costituzionali o non soltanto: ovviamente neanche in grazia della sua investitura popolare il premier potrà cambiare parti fondamentali della Costituzione senza seguire le rigide procedure previste dal dettato costituzionale vigente. Non la saggezza politica del presidente della Repubblica, dato che la riforma sembra svuotare i poteri di quest’ultimo, eliminando per esempio l’opzione di nominare, in caso di crisi, un premier incaricato non eletto o non eletto nelle fila della maggioranza.

Che visione sta dietro a questa priorità quasi assoluta della volontà della maggioranza? Non è solo ideologia populista, in cui il popolo (o meglio la maggioranza del popolo) è arbitro e ispiratore assoluto dell’azione politica del leader, che lo rappresenta e può agire senza troppi vincoli esterni.

Senza passato, senza futuro

Si tratta anche di un’ideologia presentista. Il passato e il futuro sono assenti. Il passato sono i padri fondatori, le generazioni passate che hanno dato vita alle regole fondamentali che costituiscono e regolano la vita della Repubblica, cioè alla Costituzione. Il loro lascito è vivo, ma costoro non possono certo votare il premier. Con l’attuale riforma, il potere costituente delle generazioni passate, dalla fondazione della Repubblica in poi, viene diminuito.

Questo potere delle generazioni passate è incastonato nella Costituzione, fissa certi valori nella prima parte della carta ed è stato reso effettivo dal consenso maggioritario di cui, con eccezioni certo rilevanti (si vedano certi progetti eversivi nella Notte della Repubblica), l’assetto costituzionale vigente ha goduto. Non può meravigliare che il governo Meloni voglia limitare il potere di chi ha incorporato così saldamente valori antifascisti nella cornice costituzionale della Repubblica. In questo senso, questa riforma è un tentativo maldestro di costituire una comunità diversa da quella in cui abbiamo vissuto sinora. Meloni rappresenta una comunità differente da quella degli antifascisti, una comunità di minoranza che ha convissuto con la Nazione. La Nazione cui Meloni si richiama è una nazione diversa da quella della repubblica antifascista. Questa riforma è una secessione dall’antifascismo. Di questo aspetto simbolico ma determinante ci si dovrà ricordare, se ci sarà un referendum.

Il futuro escluso da questa riforma sono le generazioni future (che su questo giornale ha ricordato Rino Formica). Anche queste generazioni non votano. Un premier eletto direttamente dalla maggioranza del popolo presente e svincolato dai meccanismi di controlli e bilanciamenti derivanti dagli attuali poteri del presidente della Repubblica e del parlamento può compiere scelte politiche che avranno un forte impatto su chi vivrà in Italia nel futuro (per esempio, trascurando la difesa dell’ambiente e compiendo scelte rischiose per i cittadini futuri). La rappresentanza delle generazioni future si può avere se essa viene prevista dalla Costituzione (e la nostra lo fa nel nuovo articolo 9) e se il parlamento si intesta tale rappresentanza. Ma un premier che bada solo ai suoi elettori presenti difficilmente sarà sensibile agli interessi e ai diritti di persone che vivranno fra molti anni o addirittura secoli.

La nazione è un’entità che vive nel passato e si proietta nel futuro. Il governo Meloni la riduce all’elettorato presente. Così facendo, rappresenta un tentativo di costituire un’altra nazione, più debole e transeunte, priva di legittimità duratura. Come ha mostrato Alessandro Ferrara, nel suo Sovereignty Across Generations (Oxford University Press, 2023), la legittimità politica deriva dal consenso di tutte le generazioni, non solo da quello dell’elettorato presente. Se non si rispetta la sovranità di tutte le generazioni, si dissolve la comunità, frantumando la nazione. Curioso che lo voglia fare un governo che si dice sovranista e nazionalista.

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