Gli stati sono sempre riluttanti a cedere sovranità, specie per vie pacifiche: di solito lo fanno sotto la minaccia delle armi. Per questo l’Unione Europea, cioè la più grandiosa e democratica cessione di sovranità da parte di stati nel corso dell’intera storia umana (di gran lunga), pur con tutte le sue imperfezioni e timidezze rappresenta un evento straordinario, prezioso. 

Anche perché questo è il continente in cui nel complesso i diritti umani vengono rispettati di più, dove alla prosperità economica meglio si affiancano i diritti civili, sociali e ambientali.

Ma se le minacce esterne sono da sempre la motivazione più efficace per il sorgere e l’aggregarsi di stati più grandi, ebbene l’Europa adesso ha l’opportunità storica di dotarsi di un assetto federale. Se non ora, quando?

Al di là di molta retorica, l’impressione è che si stia perdendo questa opportunità. Il Consiglio europeo di Versailles, il 10 e l’11 marzo, è stato un fallimento perfino nel cercare di ripetere o rendere strutturale il Next Generation Eu (lo ha ben decritto su questo giornale Francesco Saraceno). E ha confermato ancora una volta come l’attuale assetto istituzionale dell’Unione, basato per le grandi decisioni strategiche sull’unanimità dei governi, sia del tutto inadeguato.

Occorre fare sì che alcuni stati siano liberi di procedere sulla strada di una maggiore integrazione: oltre a mettere in comune alcune aree strategiche, questi stati devono premere per rendere il Parlamento europeo, federale, più importante del Consiglio dell’Unione europea (riunisce i ministri europei); e per fare della Commissione un vero e proprio governo che sostituisce il Consiglio Europeo (riunisce i capi di stato e di governo).

Inizialmente una riforma di questo tipo potrebbe riguardare solo alcuni stati, magari guidati da Italia, Francia, Germania e Spagna. Peraltro, deve essere chiaro che l’allargamento dell’Unione a Est e nei Balcani e la maggiore integrazione al suo interno sono fra loro compatibili solo se si accetta questo: la logica delle due velocità (con i nuovi candidati a entrare che ovviamente si collocherebbero nel cerchio esterno).

Questa cessione di potere dai governi nazionali è oggi l’unica strada percorribile per arrivare a un sistema fiscale europeo, affinché l’Unione sia in grado di mettere in campo politiche efficaci dall’industria e innovazione, all’immigrazione e al sociale, e per far diventare l’Europa un attore di primo piano nelle relazioni internazionali.

Noi italiani ne beneficeremmo molto, dato che presto dovremo tornare a fare i conti con il nostro debito (nei prossimi mesi finiranno i programmi di aiuti della Bce e probabilmente si alzeranno i tassi) e abbiamo bisogno per questo che l’Europa cominci a investire seriamente nel welfare, nell’ambiente e nella transizione energetica, nella difesa.

Retorica a parte, oggi il valore delle nostre classi dirigenti, italiane ma anche europee (Macron, Scholz, Sanchez), di fronte alla storia, si misura dalla capacità di misurarsi in concreto con questa sfida. 

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