In Italia la campagna contro i colossi digitali a partire da Amazon è stata finora pressoché monopolizzata dalla destra. Matteo Salvini si è più volte lanciato in critiche contro la compagnia di Jeff Bezos e il governatore della regione piemonte Alberto Cirio ha recentemente chiesto una web tax a livello regionale.

Mentre la sinistra italiana sembra dormire su questo tema, in giro per il mondo sindacati, movimenti ecologisti e partiti di sinistra stanno dando vita alla più grande mobilitazione vista sinora contro il gigante dell’e-commerce.

Chiamata Make Amazon Pay (Amazon deve pagare), questa mobilitazione, lanciata in occasione del Black Friday, giorno in cui tradizionalmente comincia lo shopping natalizio, comprende una coalizione molto ampia.

Dentro c’è il cartello sindacale internazionale UNIGLOBAL che comprende diversi sindacati  (in Italia anche Cgil e Cisl), Ong ambientaliste come Greenpeace e Amici della Terra e organizzazioni di dipendenti di Amazon come Amazon Employees for Climate Justice.

Le domande avanzate dalla campagna sono molte. Non solo migliori salari e condizioni di lavoro decenti, ma anche diritto di organizzazione sindacale, spesso ostacolato da Amazon, sostenibilità ambientale per una impresa il cui carbon footprint (impronta di carbonio) è aumentata del 15 per cento tra 2018 e 2019 e mettere fine all’elusione fiscale di cui la compagnia si è resa protagonista.

Tuttavia, come sostiene Alessandro Delfanti docente all’Università di Toronto e autore del libro Warehouse (Il magazzino) in uscita nel 2021, il problema principale di Amazon ha a che fare con il modo in cui tratta i lavoratori.

Nonostante Bezos si sia spesso presentato come un imprenditore benevolo, il suo status uomo più ricco al mondo, con un patrimonio personale di 200 miliardi di dollari, deriva dallo sfruttamento dei lavoratori responsabili per lo smistamento e spedizione dei tanti pacchi e pacchetti con cui i prodotti distribuiti da Amazon arrivano a casa nostra.

Per Delfanti, originario di Piacenza, sede del più grande magazzino Amazon d’Italia i lavoratori «sono pagati al minimo stabilito dal contratto della loro categoria e sono costretti a una flessibilità estrema in base alle esigenze dell’azienda».

Questa situazione ha conseguenze pesanti per la vita privata, togliendo al «lavoratore controllo sulla propria vita quotidiana e rendendo difficile mettere su famiglia e avere una vita serena».

Ai bassi salari si aggiunge l’atteggiamento despotico del management che esercita forte controllo e sorveglianza sui lavoratori. Un’inchiesta su un magazzino in Gran Bretagna ha dimostrato come alcuni lavoratori arrivavano a urinare in bottiglie di plastica, perché gli veniva negato il permesso per andare al bagno.

Un altro problema è l’alto tasso di infortuni dei lavoratori Amazon. Questo problema è tanto più forte in quei magazzini dove si sono introdotti i robot di magazzino chiamati “Kiva”.

Aumentando il ritmo del lavoro aumenta anche il rischio di incidenti. Durante la crisi coronavirus, molti lavoratori Amazon si sono ammalati, e ci sono state proteste in giro per il mondo per la carenza di dispositivi di protezione individuale adeguati.

Per la campagna Make Amazon Pay si sono mobilitate diverse personalità di punta della sinistra internazionale, tra cui l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis, e l’ex segretario del partito laburista britannico Jeremy Corbyn e il senatore americano Bernie Sanders, coordinati dalla nuova internazionale Progressive International. A dare manforte anche la sindaca di Barcellona Ada Colau che ha recentemente chiesto ai propri cittadini di fare le proprie spese natalizie nei negozi locali durante colpiti dai lockdown.

Quello che è particolarmente significativo della campagna è anche il livello di coordinazione transnazionale, per fare i conti con la scala globale in cui opera Amazon. Come sostiene Delfanti, «lavoratori e lavoratrici e sindacati sanno bene che l'organizzazione transnazionale di Amazon va affrontata al di la dei confini. Mobilitarsi in un singolo magazzino o paese non basta. La coalizione contribuisce anche a questo, per esempio include gli ingegneri basati a Seattle e non solo i magazzinieri di Piacenza».

Bisognerà vedere che impatto ha avuto effettivamente la campagna e quanti utenti Amazon hanno seguito la raccomandazione fatta da Varoufakis e altri volti celebri della campagna: «Non andate neppure a visitare il sito!» 

L’ampia coalizione radunata a sostegno di questa campagna e la sua visibilità pubblica sono la dimostrazione che il terreno è ormai maturo per interventi politici per mettere freno al dominio incontrastato dei colossi digitali e i loro effetti su lavoratori e economia locale.

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