La nostra ferma contrarietà al disegno di legge per l’Autonomia differenziata del ministro Roberto Calderoli si muove su due versanti.

Il primo di metodo. Vogliamo che la discussione sulle riforme istituzionali sia complessiva e che il parlamento abbia un ruolo centrale. È evidente che Matteo Salvini vorrebbe avere una bandiera da mostrare al suo elettorato del nord prima delle prossime elezioni europee, scadenza che vede peraltro una forte divaricazione all’interno della maggioranza sul tema delle alleanze.

Ma la materia di cui si sta discutendo attiene a diritti troppo importanti per lasciare che divenga terreno di scambio o di giochi politici di basso profilo. E qui veniamo al merito.

Parliamo della salute. In un quadro di difficoltà complessiva del Sistema sanitario pubblico – sottoposto a uno stress fortissimo negli anni della pandemia e oggi di nuovo definanziato dal governo Meloni, con il rischio di una privatizzazione strisciante dovuta alla drammatica carenza di risorse umane – la fotografia delle differenze territoriali con le quali dobbiamo fare i conti è tanto chiara quanto preoccupante.

Se andiamo a vedere le classifiche sull’attuazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè le prestazioni e i servizi che il Ssn è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o con una quota di compartecipazione, troviamo in cima Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte, Lombardia e, in fondo, Sicilia, Molise, Puglia, Calabria, Campania, Sardegna.

Un dato, questo, che ritorna per la mobilità sanitaria, che mostra un flusso importante di pazienti che vanno a cercare le cure dal centro-sud verso nord.

Tutto ciò si misura anche se guardiamo alle aspettative di vita, ai tassi di mortalità evitabili, alla mortalità infantile e per parto, alla speranza di vita in buona salute, con dati sempre peggiori per le aree del sud e svantaggiate.

Mentre l’art. 32 della Costituzione indica «la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» e la legge 833/78, istituendo il Ssn, poneva tra i suoi obiettivi il superamento degli squilibri territoriali, dobbiamo ammettere che l’attuale regionalismo, con il Titolo V, ha finito per cristallizzare troppe differenze e iniquità.

La disparità

Come possiamo dunque immaginare di attribuire ulteriori funzioni (e, nelle intenzioni del ddl Calderoli, risorse) alle regioni con le migliori performance sanitarie? L’effetto non potrebbe che essere un’amplificazione delle attuali e inaccettabili disuguaglianze. Questa fotografia dovrebbe spingerci piuttosto, a maggior ragione dopo la drammatica esperienza del Covid-19, a cercare di colmare questi divari – come da noi previsto non a caso nel Pnrr – e a introdurre meccanismi di governance nazionale più efficaci nei confronti delle regioni.

Per queste ragioni il Pd propone che la tutela della salute non rientri tra le materie dell’Autonomia differenziata e su questo punto siamo pronti a fare, insieme alle altre opposizioni, una battaglia durissima.

 

© Riproduzione riservata