Il caldo estivo ha colpito soprattutto gli anziani: come fu per la canicola del 2003, sono i vecchi a soffrire di più soprattutto se soli in casa o rinchiusi nelle Rsa, che sono, com’è tristemente noto, dei veri luoghi di abbandono, salvo eccezioni. Non si deve dimenticare che la pandemia ci ha lasciato in eredità una lunga sequela di vittime del Covid ma soprattutto dell’isolamento e della non-cura. Non si invecchia bene in Italia, a meno di non essere accuditi fino alla fine dai propri cari o dagli amici, cioè dai volontari che si occupano di anziani. Si tratta di un grave problema sociale che la politica deve affrontare rapidamente e che deve essere al centro dell’agenda elettorale della sinistra. Sappiamo che il sistema ospedaliero è divenuto il rifugio di tutti i problemi sociosanitari senza eccezione, scaricando su strutture esauste e sempre meno finanziate una serie di problemi che dovrebbero essere trattati altrove o in altro modo. All’interno dell’istituzione ospedaliera i reparti di geriatria rappresentano il settore più sinistrato e trascurato, in cui si concentrano i più gravi problemi dell’isolamento, della carenza di cure e così via. Tale è la forza “sindacale” delle Rsa e delle case di riposo: se non ci fossimo noi – sostengono i gestori (pubblici e privati in questo assolutamente uniti)– l’intero sistema collasserebbe. A rendere la motivazione ancor più convincente, tale auto-apologia è rivolta anche alle famiglie: come farebbero senza di noi? Così si crea un binario morto, destinato non alla preservazione della vita e alla cura delle persone ma piuttosto alla fine precoce.

Risvegliare la politica

Gli scandali da abbandono nelle Rsa sono in mano ai magistrati, non solo in Italia: vedremo cosa dirà la giustizia. Ai cittadini tocca – soprattutto in tempo di elezioni – mettere in allarme la politica perché si avvii a costruire un nuovo sistema che superi quello attuale. Si parte dalla constatazione che gli anziani non sono un problema sociale minore: esiste un “continente anziani”, dal momento che quasi il 25 per cento della popolazione italiana ha più di 65 anni. Un’attenta analisi incrociata tra territorio e demografia mostra che in un’Italia in preda allo spopolamento delle zone interne, rurali, periferiche e dei borghi – a cui corrisponde una maggior concentrazione nelle zone sovraurbanizzate – gli anziani restano più isolati e senza servizi. Nelle grandi città poi – aggredite da monopattini, biciclette e Uber, con sempre meno mezzi pubblici – la mobilità degli anziani non viene per nulla favorita. Postilla: la politica retoricamente parla dei giovani ma dimentica che gli anziani sono molti di più e che si tratta di elettori abituali.

L’area della non autosufficienza riguarda circa 2,8 milioni di anziani ultra 75enni che vivono a casa propria ma con gravi problemi motori e nelle attività fisiche o strumentali della vita quotidiana. Diventano 4 milioni se si calcolano dai 65 anni. Tutti questi anziani esprimono una domanda complessa di carattere prevalentemente sociale e umano: hanno bisogno di visite e di un attento monitoraggio, di compagnia, di cura della persona e della casa, di prevenzione, di aiuto nutrizionale e legale. Non certo di ospedalizzazione o ricovero in Rsa. Se non sapremo intercettare tale domanda sociale con risposte adeguate, essa si trasformerà inevitabilmente in domanda sanitaria, per sua stessa natura costosa e non sostenibile, che finirà poi per convertirsi in una reazione istituzionalizzata: il ricovero in istituto.

C’è dunque in Italia un disperato bisogno di assistenza domiciliare ordinaria e specializzata: ora l’Adi pubblica è solo al 3 per cento. Il suo ampliamento si tradurrebbe in un aumento dei posti di lavoro di tipo Oss (operatore socio sanitario). A ciò si aggiunga che la solitudine aggrava la situazione. Per reagire a tale emergenza va prodotta un’offerta integrata, centrata sui bisogni della persona e sull’abitazione dell’anziano: è il senso della proposta fatta dalla commissione voluta dal ministro Roberto Speranza e presieduta da Vincenzo Paglia. Gli anziani hanno bisogno di una risposta intera e non a pezzi: deve essere sociale, sanitaria e previdenziale assieme.

Continuità assistenziale

Ciò si inserisce in quello che la commissione ha definito il “continuum assistenziale” (servizi di rete, Adi, centri diurni, residenze ecc.) che personalizzi l’offerta. Gli interventi vanno integrati (sociale, sanitario e di welfare) creando un continuum che sappia porgere le appropriate soluzioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali, in un ambiente di rete e di presenza sul territorio. In questo ambito, anche le Rsa potranno assumere un nuovo ruolo: quello delle cure di transizione in vista del reinserimento finale dell’anziano – riabilitato e stabilizzato – presso la propria abitazione, inclusa la possibilità di operare come ospedali di comunità. Così le Rsa si potranno trasformare in residenze aperte alla famiglia e alla società civile. Per la realizzazione di tale riforma serve una specifica formazione del personale dedicato all’assistenza primaria, in un quadro di unificazione delle prestazioni sociali e sanitarie. Il nodo della proposta è rappresentato dalla istituzione di una prestazione universale per la non-autosufficienza finalizzata a garantire ai percettori la maggior autonomia possibile. I beneficiari della prestazione universale potranno scegliere tra due opzioni: percepire un contributo economico senza vincoli di utilizzo oppure fruire di servizi alla persona, svolti sia in forma organizzata da prestatori di servizi di cura (inclusi servizi domiciliari e residenziali autorizzati o accreditati) sia in forma individuale da assistenti familiari (badanti) regolarmente assunti. Parallelamente ci sarebbe una riforma previdenziale e l’inserimento di adeguate tutele “long term care” nei contratti collettivi e nella contrattazione territoriale, per agevolare lo sviluppo delle coperture individuali/familiari. Sono previsti anche programmi di lotta alla solitudine ed all’isolamento sociale. L’idea fondante è che la riforma ruota attorno all’assistenza domiciliare e all’abitazione come luogo di cura prioritario, non più su prestazioni ma continuativa (così si fa prevenzione e si risparmia).

A governare l’intero sistema di riforma sarebbe la rete nazionale per l’assistenza integrata alle persone anziane, composta da rappresentanti dei ministeri interessati, delle regioni, dei comuni, del terzo settore, dell’Istat e dell’Inps. La riforma prevista da Roberto Speranza si è arenata. Sarebbe essenziale che in campagna elettorale venisse ripresa dal centrosinistra come uno dei punti qualificanti della sua proposta agli elettori.

© Riproduzione riservata