C 'è un realismo politico compatibile con la fermezza sugli ideali e uno che invece rischia il cinismo. Se c'è una cosa di cui l'Italia ha bisogno per abbracciare finalmente con serietà il suo destino europeo, è un'iniezione di fiducia, che è il sentimento che unisce la stima alla lealtà e alla buona volontà nel sostenere un percorso di rinnovamento promosso dalle istituzioni.

Ma questo tipo di fiducia esige che almeno sui fondamentali non ci siano ulteriori ferite all'idealità evocata dell'espressione "alto profilo". L'Italia intera è stata percorsa da una speranza quando il capo dello Stato ha usato queste parole.

E’ stato detto che Draghi non è solo un grande funzionario pubblico, ma anche un politico intelligente. Eppure, anche questa espressione ha due letture. Una alta, una bassa, proprio come il realismo politico.

La ragione per cui la parola “alto profilo” ha suscitato un’onda di speranza nel paese è profonda: ha a che fare con un fenomeno caratteristico delle crisi di civiltà, percepibile in tutti i grandi momenti di possibile svolta, dopo calamità storiche o sociali: guerre, crisi economiche devastanti, implosioni degli stati.

E’ un fenomeno strano, a due facce: da un lato c’è un generale ottundimento della sensibilità ai valori, ma non certo nel senso delle tradizioni o delle retoriche identitarie, bensì in quello del dolore per l’ingiusto, del disgusto per il brutto, del fastidio per l’illogico, dell’avvilimento di fronte alla bassezza. Una sorta di diffusa indifferenza.

Dall’altro c’è un profondo, inarticolato bisogno di idealità. Lo sentiamo balbettare perfino in certi annaspamenti ideologici, ma molto più sovente è semplicemente una speranza, un’attenzione nuova. Qualcosa di prezioso e raro, dove la cultura civica è tanto scarsa e depressa.

Come il nostro corpo può avere in serbo inattese risorse di autoguarigione, così le società hanno a volte insperate – ma facilmente dissipate – risorse di rinnovamento profondo, sepolte negli animi, pronte a nutrire le grandi svolte storiche, ma anche a disperdersi nella disillusione quando non a invelenirsi nel risentimento.

Simone Weil, Nicola Chiaromonte, Adriano Olivetti hanno scritto grandi pagine su questo. Rinasce solo in certi momenti quella “pubblica fede” che da sola può fare miracoli in certi momenti storici, ma senza la quale neppure i governi più abili possono cambiare nulla. Ma ha una precisa direzione: l’alto, verso cui lo sguardo a lungo avvilito si solleva, per guadagnare un orizzonte più ampio, e perché il respiro si allarghi. 

Per questo l’auspicio del capo dello Stato – un governo di unità nazionale, ma di alto profilo – aveva suscitato fra i molti che non vivono di tic ideologici una speranza profonda.  

Il governo che ha appena giurato non ha un alto profilo, e ha purtroppo alcune linee basse evitabili anche nell'ecumenismo di un governo di unità nazionale.

 Perché i “valori” di cui parlo non hanno a che fare con le posizioni politiche. C’è un modo nobile di essere di destra – o di sinistra -  e uno privo di curriculum etico.  C'è un modo decoroso di sanzionare la scarsa produttività, e un modo livoroso, isterico, violento.

C'è un modo modesto di far fronte alla propria ignoranza, e un modo protervo. C'è un modo di promuovere la ricerca fondandola su competizione e trasparenza, e un modo opaco e politico: ce lo ha insegnato Elena Cattaneo. 

Che un uomo come Draghi possa (o debba?) ostentare indifferenza di fronte alle ferite simboliche inferte: questo dimostra forse a che punto sia arrivata l’inavvertenza al valore caratteristica delle crisi di civiltà.

Un grande politico dovrebbe sapere a quale rovina preluda l’indurre nelle anime lo stato descritto da uno dei più profondi versi di Dante: «E persi la speranza dell’altezza».

Non resta che augurare a lui e al suo governo, nonostante tutto, se pure discenderà in inferno, di ritornare a riveder le stelle. Anche se in politica è ancora più difficile che in poesia. 


 

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