Che l’atteso incontro – il primo dell’era Biden – tra le diplomazie americana e cinese non sarebbe stato sufficiente a superare anni – quelli della presidenza Trump – carichi di tensioni e reciproche incomprensioni era lecito aspettarselo; che il clima del meeting raggiungesse però una temperatura glaciale, addirittura maggiore dei meno quindici gradi di Anchorage, in Alaska, luogo dell’incontro, era forse impossibile da prevedere.

Rinsaldare le alleanze

Prima di giungere in Alaska, il neo-segretario di stato americano – Antony Blinken – ha intrapreso un tour asiatico che l’ha portato, accompagnato dal segretario alla Difesa, Lloyd Austin, in Giappone e Corea del Sud.

Questa sua prima proiezione esterna ha messo in risalto una rinnovata centralità del continente asiatico nell’agenda statunitense, dopo il sostanziale ridimensionamento dei rapporti conseguente all’attuazione della strategia trumpiana dell’ "America First”. Ciononostante, negli incontri al vertice sia con le autorità giapponesi sia con quelle sudcoreane – vale a dire gli alleati più fedeli degli americani in Asia – Blinken è andato subito al punto, parlando della necessità di costruire un fronte unito in grado di controbilanciare l’“aggressività” di Pechino nella regione, con particolare riferimento al Mar Cinese Meridionale ed allo stretto di Taiwan.

(Pool Photo via AP)

Il tentativo americano di stringere le maglie dell’alleanza con Seoul e Tokyo in funzione anti-cinese è certamente comprensibile, viste le continue frizioni tra Giappone e Corea del Sud – dannose per gli interessi americani in Asia – causate dall’ingombrante e mai totalmente risolto fardello rappresentato dalla colonizzazione nipponica della penisola coreana dal 1910 al 1945.

Un’altra importante questione su cui gli americani hanno fermato la loro attenzione, in particolare nel corso della visita a Seoul, è stata quella rappresentata dalla Corea del Nord e dalle sue ambizioni nucleari.

Prendendo le distanze dall’atteggiamento tenuto da Donald Trump nella seconda parte del suo mandato nei confronti di Pyongyang, caratterizzato dalla corrispondenza “amorosa” con Kim Jong Un, Blinken ha nuovamente citato la necessità di lavorare strettamente insieme agli alleati al fine di raggiungere l’obiettivo della denuclearizzazione della Corea del Nord, sottolineando l’importanza delle pressioni che Pechino – principale alleato commerciale di Pyongyang – potrebbe esercitare in tal senso e rimarcando come la Cina sia obbligata a rispettare le sanzioni introdotte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord.

Il rischio che le relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord ripiombino nella confusione, come avvenuto nel 2017, è concreto, date le recenti secche condanne provenienti dal regime nordcoreano che, per bocca di Kim Yo Jong, potente sorella minore del leader, ha fatto sapere di non gradire la ripresa delle esercitazioni militari congiunte (Stati Uniti e Corea del Sud) nella regione, tradizionalmente considerate da Pyongyang come una prova di attacco ai suoi danni.

I timori indiani

Alla fine della visita nel nordest asiatico i diplomatici americani hanno preso strade diverse: Lloyd Austin si è diretto a Nuova Delhi per incontrare il primo ministro indiano Narendra Modi mentre Blinken è partito alla volta dell’Alaska per il meeting con la delegazione cinese.

La visita di Austin in India è densa di significato, dati i timori di Nuova Delhi sulla rinnovata assertività cinese, testimoniata dagli avvenimenti del giugno del 2020, con scontri armati sull’incerto confine himalayano che sono costati la vita a venti soldati indiani. L’India, peraltro, non ha accolto positivamente il concreto appoggio che da qualche tempo Pechino ha concesso al Pakistan così come gli investimenti fatti in paesi come lo Sri Lanka, le Maldive o il Nepal, tesi, secondo Nuova Delhi, a creare una sorta di accerchiamento. Negli ultimi tempi, peraltro, India e Cina si stanno confrontando duramente sul fronte della “diplomazia dei vaccini”, in una competizione senza mezze misure in cui la fornitura di dosi a paesi meno sviluppati è necessaria a garantirsi l’appoggio diplomatico di questi ultimi ed aprirsi la strada a nuove fonti di investimento.

, il È importante notare, peraltro, che nel 2016 gli Stati Uniti hanno designato l’India come il principale “partner difensivo”, siglando una serie di accordi volti a trasferire a Nuova Delhi moderni equipaggiamenti ed ampliando la cooperazione militare.

L’aspro confronto di Anchorage

La partita più importante, come si diceva all’inizio, si è giocata in Alaska, dove Blinken – coadiuvato da Jack Sullivan, il consigliere della Casa Bianca per la sicurezza – ha fronteggiato i diplomatici cinesi – il ministro degli Esteri Wang Yi ed il potente esponente del Politburo Yang Jiechi – su un ampio ventaglio di questioni.

Il confronto è stato aspro sin dall’inizio: Blinken ha accusato la Cina di mettere a repentaglio la stabilità del sistema internazionale basato sul rispetto generalizzato di una serie di regole condivise, mentre Yang, nel suo oltremodo lungo discorso, ha criticato in maniera sprezzante lo strapotere militare ed economico statunitense, usato come mezzo per imbavagliare altri paesi, rifiutandosi di raccogliere le bacchettate degli americani.

L’incontro avrebbe dovuto rappresentare un’opportunità per ognuna delle due parti per confrontarsi sulla possibilità di riavviare le relazioni commerciali, così come per discutere di questioni legate al futuro di Hong Kong, alla lotta alla pandemia, alla situazione nel Mar Cinese Meridionale e alla violazione dei diritti umani ai danni della popolazione musulmana nella provincia dello Xinjiang.

Gli americani speravano forse in un cambiamento di atteggiamento da parte di Pechino, che non c’è stato probabilmente anche a causa del fatto che gli Stati Uniti stanno preparandosi a introdurre una serie di nuove sanzioni contro la Cina a causa del suo atteggiamento nei confronti di Hong Kong.

Soltanto l’inizio

La partita di certo è appena agli inizi. Gran parte dell’agenda politica americana nei confronti di Pechino deve ancora essere formulata, ad inclusione della gestione delle tariffe doganali sulle merci cinesi introdotte da Trump. Ciononostante, sembra palese come l’amministrazione Biden abbia deciso di porre molta attenzione sul rispetto dei valori democratici e sulle accuse di violazione dei diritti umani a carico della Cina, dicendosi comunque pronta a collaborare con Pechino su alcuni temi condivisi, come il cambiamento climatico.

La Cina, dal canto suo, respinge seccamente la possibilità di scendere a compromessi su questioni che hanno a che fare con la propria sovranità e sicurezza nazionale. Le possibilità che i rapporti migliorino a stretto giro sono quindi molto basse.

La partita, intanto, si sposta in Europa, con la visita di Blinken a Bruxelles alle porte: la determinazione di alcuni stati europei di mantenere rapporti cordiali con Pechino, almeno in ambito economico, potrebbe rendere la competizione ancora più accesa.

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