L’ultima accusa dell’Iran a Israele, in ordine di tempo, è di avere orchestrato l’azione di sabotaggio che domenica ha bloccato la centrale nucleare di Natanz, la più importante del paese, dove giusto il giorno prima erano state inaugurate nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.

Il regime di Teheran ha parlato di un atto di «terrorismo nucleare», puntando il dito contro Israele, e nelle stesso ore – coincidenze della diplomazia – il segretario della Difesa americano, Lloyd Austin, era in visita presso lo storico alleato dell’area. Ma questo è solo l’ultimo episodio di una lunga serie.

Pochi giorni fa la nave iraniana Saviz è stata colpita nei pressi dello Stretto di Bab el Mandeb, all’imbocco meridionale del mar Rosso: è un altro degli episodi della “guerra a bassa intensità” tra Israele e Iran, svolta nel Mediterraneo, nel mare d’Arabia e nel Golfo Persico.

È dal 2000 circa che si assiste a un susseguirsi di operazioni di commando, uccisioni mirate, navi minate, bombardamenti o attacchi di droni e razzi. A tali azioni segue in genere un mix di false informazioni, accuse e depistaggi. La guerra dello Yemen ha portato lo scontro anche dentro il mar Rosso mentre nei primi anni era sostanzialmente limitato al Golfo.

La garanzia americana

Da anni ci si chiede cosa debba fare Israele davanti alla minaccia iraniana: attaccare direttamente, contenere, sabotare ecc.? L’accordo con Teheran, da cui Trump è uscito e dove Biden sta cercando di rientrare, si basava anche su un non detto tra Washington e Gerusalemme: gli Stati Uniti sono i veri garanti in termini militari della sicurezza dello stato d’Israele. Ma numerosi esperti continuano a pensare che un attacco israeliano sia ineluttabile e che gli scontri fantasma di queste settimane rappresentino un’escalation verso tale eventualità.

Altri invece sottolineano che un attacco generale rischia un mezzo fallimento: una singola offensiva (come quella di Osirak in Iraq del 1981) potrebbe non bastare.

Fin dall’epoca di Menahem Begin, premier dal 1977 al 1983, le fonti ufficiali israeliane affermano di non poter in alcun caso tollerare una potenza nucleare ostile e vicina. All’epoca si faceva riferimento alle ambizioni del programma nucleare iracheno. La Francia aveva fornito a Saddam Hussein una centrale nucleare ma la reazione israeliana fu rapida: distruzione sul territorio francese tra il 5 e 6 aprile 1979 del materiale destinato a Baghdad e poi bombardamento del sito il 7 giugno 1983, con l’appoggio saudita che permise ai caccia israeliani di passare nel suo spazio aereo.

La cosiddetta «dottrina Begin» fu applicata anche nel 2007, quando l’aviazione israeliana distrusse un sospetto sito nucleare siriano presso l’Eufrate (questa volta donato dalla Corea del Nord). L’operazione rimane ancora avvolta nel mistero tanto che Israele non l’ha mai ufficialmente rivendicata.

Il sorgere della minaccia iraniana a partire dagli anni Novanta è legato alla ripresa del vecchio programma nucleare voluto dallo Scià e che gli ayatollah avevano sospeso. Da allora fonti ufficiali dello stato maggiore di Israele hanno confermato di aver pronti i piani per un attacco preventivo.

Nel 2002 un oppositore iraniano ha dichiarato l’esistenza di ben due siti nucleari: uno è quello di Natanz, dedicato all’arricchimento dell’uranio, e l’altro ad Arak per l’acqua pesante. L’Unione europea e l’Aiea hanno ottenuto un’interruzione del programma che però è ripreso con l’elezione nel 2005 di Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza.

È iniziato allora il periodo peggiore: gli attacchi verbali contro Israele (e gli Usa) del presidente iraniano (vicino ai pasdaran) sono stati quasi quotidiani lungo tutto il corso del suo mandato. Il leader iraniano è arrivato a dichiararsi negazionista sulla Shoah. Dal 2006 gli iraniani hanno rilanciato ufficialmente le loro ricerche e l’anno successivo hanno ammesso di disporre di 3.000 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.

Allo stesso tempo Teheran ha accresciuto le sue capacità missilistiche fino ad un raggio di 2.000 chilometri, cosa che permette di colpire Israele e parte dell’Europa. Gli esperti militari israeliani erano convinti che l’Iran potesse sviluppare l’arma nucleare entro il 2014.

Tentativi di dialogo

I primi tentativi di dialogo sono iniziati nel 2009, ma senza grandi risultati. L’Iran sostiene di avere il diritto ad un programma nucleare civile mentre tutti si chiedono a cosa serve per uno dei maggiori produttori di petrolio del mondo.

A turno varie mediazioni (russa, francese ecc.) si sono offerte di fornire all’Iran un certo quantitativo di uranio già arricchito purché non se lo produca in casa, permettendo al programma di divenire potenzialmente militare. Ma la repubblica islamica ha rifiutato le offerte, prevedendo di aumentare le centrifughe fino a 500.000.

Nel 2009 appena eletto Benjamin Netanyahu ha dichiarato: «Non permetteremo a color che negano la Shoah di commetterne una seconda». Visto che con Ahmadinejad non è possibile nessun accordo, Israele rafforza le sue azioni di contrasto: si punta ad attaccare il sistema informatico delle centrifughe, riuscendo a rallentarlo con i virus e in certi momenti anche a bloccarlo.

È una guerra di spie e di cyber-conflitti che dura ancora. Di fatto tali attacchi non sono cessati nemmeno quando l’amministrazione Obama è riuscita nel tentativo di portare l’Iran al tavolo negoziale nel 2013 e, con il consenso russo, a far firmare l’accordo al nuovo presidente Hassan Rohani nel 2015.

Ma per Israele non è abbastanza: l’Iran ha nel frattempo aumentato l’estensione del suo programma. Per quello che se ne sa, oltre alla nota centrale nucleare (ad acqua leggera) di Buchechr più un’altra in costruzione a Darkhovin (con l’aiuto cinese), ad Arak e Natanz si sono aggiunti nuovi siti di ricerca a Isfahan, Fordow, Teheran stessa, a Qom e probabilmente altrove. Miniere di uranio sono scavate in vari luoghi del paese.

Tutto ciò fa capire che un solo attacco aereo israeliano a sorpresa non sarebbe sufficiente: troppi luoghi da colpire, troppi rischi di fallimento: la campagna sarebbe molto più lunga.

Un avversario testardo

L’Iran si sta rivelando un avversario resiliente e testardo, capace di resistere alle sanzioni e di concludere accordi militari con alleati sempre diversi (si pensi al Venezuela). La globalizzazione permette “triangolazioni” insospettate e molto difficili da scoprire, allo scopo di far giungere materiale sensibile in Iran.

Per questa ragione sono aumentati gli attacchi alle navi iraniane da trasporto: un modo per diminuire i rischi tenendo il rivale sotto pressione. Ma è anche la strada che potrebbe portare alla guerra. Stati Uniti ed Europa, assieme alla Russia, sostengono che la dissuasione e il contenimento sono le uniche possibilità: un conflitto aperto e generalizzato sarebbe troppo rischioso provocando conseguenze non prevedibili. Ma a Gerusalemme non tutti ne sono convinti e pensano all’Iran come a una minaccia esistenziale, ben peggiore delle precedenti. Come sempre in Israele, il dibattito interno di questi anni su tale questione è molto acceso. Numerosi coloro (tra cui anche ex militari) che hanno criticato l’allarmismo di Netanyahu sostenendo che mostrerebbe un “Israele debole” mentre non è mai stato così forte. Alcuni si spingono anche a dire che un Iran dotato di arma atomica non sarebbe di per sé un pericolo assoluto: la capacità nucleare di Israele rimane ineguagliabile.

C’è poi chi sostiene che gli attuali attacchi iraniani sarebbero una cortina fumogena per celare le vere preoccupazioni di Teheran: i suoi vicini orientali, tutti provvisti di arma nucleare, come il Pakistan e l’India. In particolare si teme l’influenza talebana a Islamabad, come si nota dai sanguinosi scontri con i talebani in Afghanistan.

Ma Netanyahu ha buon gioco a indicare le mosse iraniane in Siria e i ripetuti tentativi delle milizie sciite di avvicinarsi alla frontiera con Israele (per questo continuamente bombardate), a dimostrazione del pericolo imminente.

Soprattutto c’è da guardare al quadro geopolitico complessivo: la fine del monopolio nucleare di Israele in medio oriente cambierebbe tutto. Un’Iran potenza nucleare vedrebbe la sua influenza aumentare esponenzialmente a discapito dei paesi del Golfo, e segnatamente del suo acerrimo nemico l’Arabia Saudita, scatenando una corsa all’arma nucleare nell’intera regione (si pensi solo alla Turchia).

L’Europa deve stare più attenta a ciò che sta avvenendo tra Israele e Iran: il rischio di guerra è reale ma anche è in bilico la stabilità geopolitica dell’intero medio oriente e del Golfo Persico. Occorre un’attenta analisi della situazione strategica da confrontare con Washington, Mosca e Gerusalemme per evitare una conflagrazione generale.

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