Per fortuna non sono il solo a sentire un’inquietudine profondissima dinanzi alle dichiarazioni del ministro Valditara. Parole che fanno lo stesso rumore sordo e violento di manganelli agitati contro chi ricorda che per i manganelli non c’è spazio nella nostra Repubblica antifascista.

Vorrei però declinare questa inquietudine in senso più ampio, riconoscendo dentro l’ennesimo vergognoso episodio alcune tendenze culturali e politiche che, se possibile, trasformano la volgarità di Valditara in un segno assai più minaccioso. Quelle dichiarazioni non sono esternazioni episodiche di un singolo ministro ma appartengono a una storia che sembra ormai consolidata e prevalente.

Il discorso di Violante

La prima tendenza che vorrei segnalare è molto semplice. Ancora una volta abbiamo l’esempio di come si sia consumata una rottura inesorabile con gli eventi fondatori della storia repubblicana. Val la pena rileggere il passaggio celebre del discorso di insediamento come presidente della Camera di Luciano Violante nel 1996.

«Mi chiedo, colleghi, me lo chiedo umilmente, in che modo quella parte d'Italia che in quei valori crede e che quei valori vuole custodire e potenziare nel loro aspetto universale di lotta alla tirannide e di emancipazione dei popoli, non come proprietà esclusiva, sia pure nobile, della sua cultura civile o della sua parte politica, mi chiedo – dicevo – cosa debba fare quest'Italia perché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventi davvero un valore nazionale e generale, e perché si possa quindi uscire positivamente dalle lacerazioni di ieri. Mi chiedo se l'Italia di oggi – e quindi noi tutti – non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà».

L’antifascismo come colpa

Facciamo finta che queste parole siano state pronunciate in buona fede. In ogni caso, esse suonano oggi come un fallimento. Perché se quel cominciare a riflettere «sui vinti di ieri» aveva come proprio obiettivo di far in modo che «la lotta di liberazione dal nazifascismo diventi davvero un valore nazionale e generale», è evidente che quell’obiettivo non solo non è stato raggiunto, ma è stato del tutto rovesciato.

Ciò che è cambiato – nell’arco di tempo che distanzia le parole di Violante dalle minacce di Valditara – è che non solo è diventato legittimo evocare con simpatia il fascismo ma anche che ormai la «diffidenza di stato» si rivolge contro ogni memoria antifascista mentre protegge la nostalgia del fascismo. Insisto su questo punto perché non mi pare compreso abbastanza.

Per quanto io e tanti altri possiamo indignarci nei confronti del ministro che va contro la nostra Costituzione, dobbiamo prendere atto che il discorso egemonico è quello per cui essere antifascisti è anacronistico, ideologico e sostanzialmente inutile. Mentre ammiccare al fascismo è tutto sommato simpatico e non troppo pericoloso.

Per questo non riesco né a perdonare Violante né a sottovalutare Valditara. Perché mi fa paura un mondo in cui il discorso ufficiale possa ridicolizzare l’antifascismo e minimizzare il fascismo. E credo che questo discorso sia diventato ufficiale grazie alla complicità di chi aveva la responsabilità politica di custodire il fondamento antifascista.

La tracotanza dei potenti

La seconda tendenza è più ampia e, per certi versi, anche più preoccupante. Valditara che non si fa scrupolo nel minacciare una sua sottoposta non è poi così diverso dalla nostra presidente del Consiglio che sceglie di persistere nella querela contro questo giornale, oppure da uno Stato che si accanisce contro un anarchico in prigione, o dagli imprenditori e i politici che non perdono occasione di attaccare i percettori del misero reddito di cittadinanza.

Che cosa unisce tutti questi eventi apparentemente eterogenei? Proprio il fatto che in essi si intravvede l’essenza del fascismo, cioè la sfrontatezza con cui il potente non riconosce più alcun limite al proprio potere. Come è stato possibile giungere a un punto in cui i potenti esibiscono il proprio potere come un abuso, disinteressandosi di ogni conflitto d’interessi e di ogni principio d’equità?

Come è stato possibile accettare l’incessante esibizione dei forti che non intendono solo vincere ma vogliono ormai stravincere, umiliando i deboli e coloro che sono costretti a essere sottomessi?

Queste domande non sono semplicemente retoriche, ma rimandano a un livello di profondità che val la pena accennare in chiusura. Tutto ciò è possibile perché si è ormai composta un’alleanza tra il capitalismo e il fascismo.

Il fatto che il conflitto di classe sia finito e abbiano vinto i ricchi, come qualcuno aveva chiarito ormai troppi anni fa, non è un semplice dato accidentale della dinamica del capitalismo, ma ne rappresenta l’essenza contemporanea. Valditara non fa altro che estendere sul piano politico e culturale questo principio essenziale del capitalismo contemporaneo: che non si tratta più di cercare mediazioni, di trovare accordi, di rispettare la controparte dialettica.

Si tratta ormai di non fare prigionieri. È questa la lotta di classe dopo la lotta di classe e Valditara ne è parte, a partire dalla sua ideologizzazione del merito. La lotta di classe dei potenti contro coloro che il potere lo rispettano e non lo usano, dei ministri contro gli insegnanti e i giornalisti, dei giudici contro gli ergastolani. Non basta vincere, bisogna stravincere.

E il capitalismo tronfio sa che stravincere vuol dire togliere ogni parvenza di limite ai potenti. Che sia il diritto, che sia la parola, che sia un sussidio di dignità. Il capitalismo che stravince ha bisogno di persone come Valditara, per ricordare a tutti che il suo sogno è ormai quello tornare in un mondo in cui nessun limite faccia da argine alla tracotanza dei potenti. Eccolo, il fascismo.

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