«Gli obiettivi sfidanti assunti dall’Europa sulla neutralità climatica al 2050, ci impongono di costruire anche nel nostro Paese una nuova e diversa stagione dello sviluppo fondata sulla sostenibilità ambientale, sociale, economica che abbia come riferimento gli obiettivi di sviluppo sostenibili dell’Agenda 2030 e gli accordi di Parigi sul clima e che accompagni la transizione, tutelando le fasce sociali più fragili e meno protette».

Sono le parole che si leggono nel documento programmatico presentato dal Pd di Nicola Zingaretti nel corso delle consultazioni per la formazione del governo Draghi. Un piano di 26 pagine dal titolo Rresponsabilità, visione e inclusione che ne dedica due proprio alla «rivoluzione verde».

La strada per l’inferno però è lastricata di buone intenzioni, e quelle del Pd si sono arenate sulla mancata nomina di donne e uomini in posizioni di governo utili a trasformare quel programma in politiche.

Nel bilancino della ripartizione, infatti, dei sei sottosegretari assegnati al partito democratico nessuno è andato - ad esempio - alla transizione ecologica, ministero guidato dal tecnico Roberto Cingolani.

Un ministero di peso che avoca a sé deleghe importanti, non ultima la gestione del 37 per cento dei fondi del Recovery Plan.

Sconfitti su tutta la linea

Se è andata male con la transizione ecologica, dove i sottosegretari sono tutti in quota Lega e M5S, non è andata meglio con l’agricoltura. In via XX settembre siederanno uomini  di Lega e Forza Italia.

Peraltro, insieme al ministro Stefano Patuanelli, formeranno una triade di soli maschi, reiterando la rappresentazione di un potere in cui non c’è spazio per le donne. 

Insomma, anche in questo caso, il piano del Pd che vedeva nell’agricoltura «un settore strategico per il raggiungimento degli obiettivi climatici», si scontra con la dura realtà del manuale Cencelli.

Eppure l’IPCC, il panel intergovernativo di scienziati che si occupa del tema a livello globale, ammonisce sulla responsabilità del comparto agricolo, che contribuisce al riscaldamento del pianeta con una percentuale che arriva addirittura al 37 per cento delle emissioni totali di CO2.

La domanda dunque è: come pensa il Pd - e a cascata anche LeU - di attuare la “rivoluzione verde” senza avere nessun posto di governo nei due ministeri - transizione ecologica e agricoltura - centrali per vincere la sfida climatica?

Delle due l’una: o da parte del centrosinistra non c’è stato interesse ad occuparsi di questi temi - il che sarebbe in assoluta contraddizione con i principi annunciati - o i posti non gli sono stati assegnati. Marco Furfaro, responsabile della comunicazione del partito democratico, sollecitato su questa domanda, risponde su Twitter che quei posti “li abbiamo chiesti”.

Se è vero quanto sostiene Furfaro, si pone però un problema enorme sulla capacità dei democratici di incidere sulle politiche di governo e in particolare sulle azioni da mettere in campo per porre un freno alla crisi climatica.

Intanto è circolata la bozza di decreto che istituisce “presso la presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) con il compito di assicurare «il coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica e la relativa programmazione». Il comitato sarà presieduto dallo stesso Mario Draghi ma nei fatti guidato da Cingolani e coinvolgerà anche i ministri dell'Economia, dello Sviluppo economico, delle infrastrutture e, infine, dell’agricoltura. Anche in questo caso, nessuno dei ministri coinvolti è del Pd.

Proprio quando il centrosinistra sembrava prestare attenzione agli ammonimenti e alle richieste della società civile e delle organizzazioni ambientaliste, il suo ruolo potenzialmente propulsivo è venuto meno. In questo modo, invece, il Pd si colloca, volente o nolente, fuori dal centro dell’azione e fuori dalla pianificazione del presente e del futuro. O, per dirla con le parole di alcuni dirigenti del partito, “non tocca palla su questi temi”.

Senza un partito

Al mondo dell’associazionismo e dei movimenti toccherà il difficile compito di fare breccia in una struttura che sembra più orientata a gettarsi sulle tracce delle magnifiche sorti e progressive dell’innovazione tecnologica, che non a puntare su agroecologia contadina, generazione distribuita dell’energia, chiusura delle fonti inquinanti e bonifica dei siti di interesse nazionale, interruzione del consumo di suolo, potenziamento della mobilità pubblica e abolizione delle trivellazioni in mare. Su molti di questi dossier tanti di noi si sono scontrati anche con il partito democratico, con cui però - questo va riconosciuto - c’è spesso almeno un dialogo.

Nei prossimi mesi Cingolani e il Cite  saranno chiamati ad approvare il “piano per la transizione ecologica”. Solo allora vedremo se al titolo magniloquente assegnato al ministero corrisponderanno politiche effettive.

Intanto al partito democratico il difficile compito di individuare la strada per far valere le proprie posizioni, a partire dalla riassegnazione delle commissioni parlamentari, al momento presiedute da Cinque stelle e Lega. 

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