Il poderoso apparato militare convenzionale dei russi si è arenato di fronte alla resistenza ucraina equipaggiata, istruita e guidata dai suoi alleati occidentali, con un mirabile sfoggio di tecnologia tra avvistamenti satellitari e comunicazioni immediate alla piccole unità sul campo. Uno schiaffo alla novecentesca armata putiniana.

Le armi che stiamo inviando agli ucraini consentono loro di resistere, talvolta di respingere e contrattaccare, più  spesso di ripiegare ordinatamente. Il quesito sorge proprio da questa osservazione sul campo. Perché riforniamo gli eroici resistenti ucraini? Perché pensiamo che possano sconfiggere l’invasore, rinverdendo il mito resistenziale? 

Se ne siano veramente convinti allora armiamoli fino ai denti  per metterli sullo stesso piano degli avversari. Che anche Davide abbia delle chance.   E anche se non arriva alla vittoria sul campo, quanto meno logori il nemico.

La Russia può impedire il proprio logoramento solo al costo di un abisso morale, che sarebbe condannato anche al suo interno: o usando armi non convenzionali, o bombardando a tappeto le città che, per ora, secondo l’Onu contano un numero relativamente limitato di morti, mentre sappiamo bene, per l’esperienza vissuta dai nostri padri e nonni, quante vittime porti un solo bombardamento: quello di Roma del 19 luglio 1943 provocò circa 3.000 vittime.

Una Russia logorata militarmente o infangata moralmente si scrollerà di dosso il suo zar. Una dittatura non regge alla (percezione di una) sconfitta sul campo.

È così che avvengono i cambiamenti di regime, attraverso congiure di palazzo sostenute dall’opinione pubblica.  Dobbiamo allora essere consapevoli che armando gli ucraini aumentiamo i loro lutti. Ma con il loro sacrifico forse abbattiamo l’autocrate del Cremlino.

Come i bombardamenti sulle nostre città furono il drammatico prezzo che pagammo per essere liberati dai dittatori, così gli ucraini pagano, e probabilmente pagheranno ancora di più nei prossimi giorni, il prezzo per spodestare lo zar. 

A meno ché abbandoniamo la logica delle armi che tanto, troppo, eccita l’ opinione pubblica occidentale, e cerchiamo concretamente la via della pace.

Lasciare le trattative al dittatore turco, che mette in galera per 10 anni una oppositrice come Canan Kaftancioglu senza  suscitare nemmeno un’oncia del giusto sdegno per le condanne inflitte a Alexei Navalny, è una umiliazione per l’Occidente. Per i suoi valori innanzitutto e per la sua incapacità di far politica, l’unica “arma” con la quale si può arrivare alla pace.

Se nessuno opera per far finire quanto prima questa guerra, continuerà fino alla resa degli uni o alla sconfitta morale degli altri. Ma con più lutti e devastazioni. Questo è il costo della nostra inerzia.

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