Il capolavoro politico di Matteo Renzi è sotto gli occhi di tutti: aver riportato in auge Matteo Salvini. Chiunque avesse visto fino ad un mese fa il volto, le espressioni, la voce, l’eloquio del leader della Lega avrebbe colto tutti i segni della sua difficoltà a uscire dall’angolo in cui il famigerato Giuseppe Conte l’aveva cacciato nell’estate del 2019.

Da allora la Lega aveva iniziato la una discesa dai picchi trionfali delle elezioni europee planando a qualche punto appena dal Pd.

La metamorfosi in questi giorni del leader leghista è stupefacente: tonico, aggressivo, sornione, sempre sul punto, già detta l’agenda politica (non quella di governo, ovviamente).

Non per nulla è stato l’unico leader politico al quale Mario Draghi nel suo discorso al Senato ha risposto, rimarcando la centralità dell’Europa e l’insostituibilità dell’Euro a fronte delle dichiarazioni euroscettiche del leghista.    

Il ritorno della Lega al governo era quanto di più inaspettato si potesse immaginare dalla crisi del governo Conte II.

Cosa è successo dall’estate del 2019, quando si mobilitò tutto il mondo per costringere il segretario del Pd Nicola Zingaretti ad allearsi con i Cinque stelle, per riaprire le porte dell’esecutivo ai leghisti?

Assolutamente nulla, perché nulla è cambiato nella cultura politica di quel partito che rimane anti-europea e populista, anti-immigrati e complottista, anti-egalitaria e discriminatoria.

In effetti sarebbe ora di lasciar perdere la stucchevole glorificazione dei leghisti “buoni” alla Giorgetti o alla Luca Zaia, il quale oggi cerca vaccini per i suoi veneti magari dai cinesi, mentre un anno fa , evidentemente ad un ora pericolosamente tarda del pomeriggio dichiarava che «abbiamo visto tutti i cinesi mangiare topi vivi» (sic) .

Il gioco del tenente buono e del tenete cattivo lo lasciamo a chi non ha idea di cosa sia quel partito. Che dire infatti del caso recente del vice-presidente del consiglio regionale veneto Massimo Giorgetti (nomen omen?), il quale, in un suo tweet si è augurato che arrivasse un Pinochet per salvare anche l’Italia dai comunisti. Evidentemente alla destra bastano due frasette per purificarsi dai suoi tratti illiberali e antidemocratici.

Il governo Draghi nasce zavorrato dalla presenza leghista. Mentre il Pd per vocazione governista, senso dello stato  e un certo masochismo non creerà mai un problema al governo e ingoierà senz’altro qualche camionata di rospi, la Lega si sente libera di agire a tutto campo, incalzando l’esecutivo con le sue richieste e obbligandolo quindi a rispondere in qualche modo, spesso con dei rifiuti ma alla fine anche con qualche concessione.

E comunque chi “farà politica” nei prossimi mesi sarà Savini perché non ha nulla da perdere dall’abbandonare la maggioranza. In questo caso, può riattivare in un attimo tutta la polemica populista e anti-establishment di puro stampo trumpiano che ha lo ha sospinto verso traguardi elettorali importanti. 

Un bel capolavoro, Matteo!

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