Gli storici racconteranno, forse, la storia di Napolitano con riferimento alla copiosa documentazione disponibile, molta già adesso. I contemporanei hanno assistito, con maggiore o minore consapevolezza (lo deduco dai volti dei presenti, anche, sento di doverlo proprio scrivere, dal sentimento di estraneità, di alterità che traspariva dai volti degli attuali governanti), ad una cerimonia funebre laica irripetibile, da ricordare minuto per minuto, intensa con trattenuta commozione. Attraverso le parole degli oratori prescelti con grandissima cura, la storia, oserei dire l’avventura, non solo politica, di Napolitano, è stata narrata anche la storia complessa dell’Italia repubblicana. La storia di un’Italia che, seppure minoritaria, è esistita, ha affrontato sfide, commesso errori, saputo cambiare e migliorare, ma che non c’è più.

Appena menzionato, il giustamente famoso discorso con il quale, appena rieletto contro le sue preferenze istituzionali (non creare precedenti) e personali, il Presidente Napolitano fustigava i parlamentari inetti e ignavi, era anche un giudizio severo sulla classe politica della cosiddetta Seconda Repubblica, espressione di alta preoccupazione per un rinnovamento pericolosamente rimandato. L’elogio a chi ha praticato la politica come professione perché degna di assorbire le energie di chi vuole cambiare, migliorare la vita nella polis è risuonato un po’ in tutti i discorsi quasi opportunamente anche come critica implicita all’arrivismo senza principi e spregiudicato dei contemporanei.

Molti hanno sottolineato come e quanto Napolitano abbia ritenuto indispensabile porre lo studio e la documentazione a fondamento dell’azione politica richiesta. Il desiderio di continuare a imparare era un tratto caratteriale, ma anche il requisito essenziale per ergersi e rimanere all’altezza delle sfide che si ripresentano. L’uomo a servizio delle molte istituzioni non fu mai un semplice esecutore dei ruoli inscritti in quelle istituzioni, ma operò regolarmente sia come difensore agguerrito della loro dignità sia come interprete creativo capace di ampliarne gli spazi al massimo dei limiti costituzionali nell’intento di garantirne la funzionalità e l’efficacia.

Il politico colto e studioso si rese presto conto che l’Europa costituiva non soltanto un’opportunità per l’Italia, ma il luogo migliore dove perseguire libertà, giustizia e prosperità. Consapevole della pluralità di posizioni presenti nel suo partito, il PCI, si mosse con grande cautela e altrettanta determinazione conseguendo l’obiettivo. Napolitano non si costruì una carriera motivato primariamente da ambizioni di grandezza personale. Fu il suo modo di porsi e di agire a farne l’uomo giusto per i momenti difficili, l’uomo nel quale riporre fiducia per l’adempimento di compiti ardui e essenziali, l’uomo che ricompensava quella fiducia con l’impegno che derivava dal senso del dovere. Che, in un modo o nell’altro, tutti questi elementi abbiano fatto la loro comparsa nei discorsi degli oratori è decisamente gratificante. Dice molto anche su quegli oratori, sulla loro vicinanza e conoscenza di un leader politico esigente che sapeva valutare le qualità e premiarle.

La cerimonia espressiva di un lutto repubblicano ha certificato nel modo più alto possibile che le democrazie sono in grado di produrre élites politiche, eccellenze. Sono, talvolta, anche in grado di premiarle. Che, in qualche modo, è possibile e comprensibile avere qualche nostalgia per il passato. Ma, certamente, Napolitano non aveva rimpianti per il passato, tranne per qualche errore di valutazione. Guardava al presente per costruire il futuro possibile. Gli storici diranno con quanto successo. Molti contemporanei dentro e fuori Montecitorio testimoniano la loro gratitudine.

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