Già il fatto che il prossimo anno termini in 1 mi mette di buon umore. Mi sembra si possa ricominciare da capo. Ricominciare da 1 elimina, o quanto meno mitiga, l’ansia da prestazione. Uscendo dall’anno zero del Coronacene, ci sentiamo obbligati, anzi votati, e forse vocati, al cambiamento. Il cambiamento è necessario, dopo mesi ce ne siamo accorti, siamo convinti, siamo pronti.

In fondo, il nostro anno, l’anno così come lo abbiamo concepito nell’arco della nostra vita, e come ce lo ha raccontato chi appartiene alle generazioni precedenti, è finito, in Italia, il 9 Marzo scorso, con il primo lockdown. Avremmo potuto ricominciare da 1, il 9 Marzo scorso ma non ci abbiamo creduto, non eravamo convinti, non eravamo pronti, di certo, io, non ci ho creduto.

Ho pensato fosse passeggero, l’ottimismo della volontà mi ha sostenuto, guardandomi allo specchio la mattina mi dicevo, vantandomi – d’altronde gli specchi a questo servono, dalle favole in poi, specchio delle mie brame –, mi dicevo, vantandomi: Tu non hai contribuito a questo, forse hai assistito, forse avresti potuto fare di più, ma non hai contribuito: sei ossessionata dalla differenziata, compri verdure, carne e pesce a chilometro zero e uova di galline allevate a terra, paghi le tasse, doni il cinque per mille allo stato perché coltivi la tua laicità e cerchi di non sopraffare, non rubare, non deridere, non evadere, non schernire.  

Guardandoti allo specchio e osservando poi la città vuota ti ripetevi: ci sono molte persone come me e dunque ce la faremo.

Certo che ci sono molte persone come me, persone che pensano al plurale, in breve, ma pensare al plurale non basta. Bisogna ridursi, questo bisogna fare.

Il cambiamento ci spaventa, ci dà ansia da prestazione, perché è un cambiamento che abbiamo dimenticato con la rivoluzione industriale, col benessere, con l’istruzione di massa, con la borghesia, è un cambiamento che è sinonimo di riduzione. Riduzione suona male, riduzione anche davanti allo specchio mentre uno sgrana il rosario dei propri meriti civili, non funziona, non è divertente, non è sexy, ed è talmente plurale da mettere in discussione l’individualità, l’io, e anche lo specchio in casa sul lavandino del bagno. A che serve lo specchio se Io non ha senso? Ricominciare da 1 elimina o quanto meno mitiga l’ansia da prestazione, almeno a me. Ma forse a tutti.

Tutti abbiamo cominciato a contare da uno. Lo zero arriva dopo, lo zero è un artificio. Ecco, io la capisco l’ansia da prestazione indotta dalla necessità del cambiamento. Dalla necessità di essere veloci, rapidi come bambini, saggi come vecchi, desiderosi come adolescenti, nel cambiare costumi, abitudini, modi di pensare, modi di agire, modi di mangiare, modi di costruire le città e di viverle, modi di rapportarsi agli altri viventi, e rapportadosi, rispettare. L’ansia da prestazione all’abitudine, alla prassi a tenere insieme, di nuovo, dopo secoli tutte le età di un essere umano, e tutti i generi, ed entrambi i sessi, e di guardarsi come uno zoo ambulante – come mi ha detto il filoso Emanuele Coccia sull’Isola deserta di Radio Rai 3, l’ultima domenica di dicembre del primo anno del Coronacene.

Forse allora, e questo è il proposito del nuovo anno, che ricomincia da 1 e dunque ci aiuta perché abbiamo sempre cominciato da 1, il problema non è l’Io in sé, ma l’Io in noi, come ce lo hanno e ce lo siamo raccontato, l’Io antropomorfo che non coincide col mondo e dunque lo consuma.

Coincidere col mondo o almeno somigliargli, nella sua varietà, senza volere, per forza, che somigli a noi.

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