«Di chi vi fidate di meno? Dei politici o dei miliardari?». Con un sondaggio su Twitter, Elon Musk pone quella che chiama una «vera domanda», che ha però fin dal principio un suono retorico. Il risultato infatti appare scontato, considerato l’emittente del messaggio: il 76 per cento dei 3,4 milioni di utenti che hanno votato indica i politici come meno degni di fiducia.

Se l’eccentrico patron di Tesla non è nuovo a provocazioni via social, l’episodio merita tuttavia qualche attenzione, sia per ciò che rivela del rapporto tra i super miliardari, il potere politico e la moltitudine dei senza-potere, sia per la dimensione massiccia della partecipazione al sondaggio che, anche al netto di possibili profili fake, segnala un pericolo nuovo, persino visto da un’Italia che di uomini ricchi pronti ad aizzare il pubblico contro politici di professione ne ha conosciuti più d’uno.

Il tweet esprime la quintessenza dell’antipolitica di una classe proprietaria che dipinge il lavoro di parlamenti e governi come inutile, dannoso e fondamentalmente avverso non solo al proprio interesse ma all’interesse del “popolo” che, sgravato da oneri e imposizioni, sarebbe più libero di perseguire la propria felicità. «La politica è un generatore di tristezza», scrive Musk in un altro post.

Fino a qui, siamo su un terreno che conosciamo. In Italia, Silvio Berlusconi ha lungamente contrapposto la propria abilità di uomo d’impresa all’inerzia dei politici di professione.

Però il suo caso, come quello di altri imprenditori milionari che “scendono in campo”, implica ancora il desiderio di partecipare al gioco della politica, conquistare il governo, fino magari a impadronirsi della macchina dello stato; non quello di fare a meno dello stato, o di sostituirsi al suo potere.

L’aspetto storicamente inedito dei super ricchi con patrimoni a dodici cifre, quelli di cui parla Riccardo Staglianò nel suo libro Gigacapitalisti (Einaudi), è che «si tratta di privati cittadini in grado di fare cose prima appannaggio solo degli stati»: dalla gestione di scambi a livello planetario alla sorveglianza di massa, fino ai viaggi spaziali.

Privati che fanno tutto ciò come privati, senza l’ambizione di conquistare il potere politico.

Cosa significa allora «fidarsi» dei miliardari, che non rendono conto a nessuno, più che dei politici che rispondono all’elettorato? Significa vedere nei primi una promessa di felicità, anche se le loro innovazioni paiono lontane anni luce dalla vita e i problemi quotidiani delle persone comuni?

E pur sapendo che nella crisi pandemica questi hanno moltiplicato i propri guadagni, mentre milioni di persone regredivano sotto la soglia minima di benessere?

Sono domande che trovano risposta solo guardando il rovescio della medaglia, osservando la perdita generale di fiducia in partiti politici che faticano a rappresentare componenti sempre più ampie del demos, e la distruzione del credo nell’uguaglianza che tiene in vita la democrazia.

Solo che di queste dinamiche i «gigacapitalisti» come Musk, Jeff Bezos o Mark Zuckerberg non sono spettatori interessati, sono attori. L’informazione tossica delle piattaforme social, l’attentato ai diritti dei lavoratori, il ricatto esercitato verso gli stati, sono solo alcuni dei modi con cui favoriscono la crescita del malessere individuale, insieme alla sfiducia nel collettivo e nella politica. 

Per questo, come scrive Staglianò, dire che rappresentano una minaccia per la democrazia «non è un’iperbole». E poiché la loro ambizione è globale, nessuna democrazia può dirsi al sicuro.

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