Ai fini interni il colpo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è grosso: la foto con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i due ministri degli esteri di Emirati e Bahrein serve per liberarsi dalle strette del movimento Black Lives Matter e dare un’immagine da leader globale durante la campagna.  

Per il premier israeliano, a pochi giorni dal secondo lockdown nazionale causa Covid, si tratta di un trionfo: aver snobbato a suo tempo Barack Obama alla fine lo ha favorito. La collettività ebraica americana non potrà che tenerne conto nelle urne.

Ma il vero terremoto geopolitico è in Medio Oriente: con questa mossa l’Arabia Saudita avanza le sue pedine per divenire il dominus assoluto tra i paesi arabi.

D’altra parte non c’era più scelta: Siria e Iraq sono distrutti o fuori gioco; l’Egitto in preda a divisioni interne e alle prese con l’interminabile guerra di Libia; Algeria in crisi e i regni moderati Marocco o Giordania sostanzialmente allineati.

Israele non ha più nemici se non l’Iran sciita: perché dunque proseguire con la linea perdente dei palestinesi? E’ la domanda che si sono fatti a Riad e che ha provocato la svolta.

I paesi del Golfo sono gli unici paesi arabi efficienti e dinamici, economicamente stabili, senza particolari crisi socio-economiche interne. Il solo neo è l’alleanza del Qatar con la Turchia e ora il presidente turco Recep Tayyp Erdogan dovrà decidere cosa fare. Intanto si è fatta la fila per normalizzare i rapporti con Israele: Oman, Sudan Marocco ecc. Stufa di andar dietro alle velleitarie rimostranze dell’autorità palestinese incapace di scegliere la pace, l’Arabia manda avanti i suoi alleati per andare a vedere le carte. D’altronde tutti sono preoccupati da Teheran: meglio allinearsi.

Ovviamente il resto del mondo vuole sapere se si tratta di una svolta reale o soltanto di arguzia orientale. Gli Emirati ci hanno da tempo abituato a fuochi d’artificio geopolitici originali e spericolati. Il piccolo Bahrein rappresenta invece una cartina di tornasole: se ha accettato la normalizzazione con Israele significa che c’è stato il via libera di Riad.

Quest’ultima prende tempo. Da un punto di vista formale il re Abdallah, predecessore di Mohammed Ben Salman (MBS), aveva già nel 2002 definito la dottrina: due Stati con Gerusalemme est capitale palestinese. Su tale faglia è fissata la linea ufficiale di Riad.

L’Arabia vuole capire se Washington sarà capace di imporre tale svolta ad Israele. Le normalizzazioni con Emirati e Bahrein mostrano che in cambio si può ottenere la fine della guerra con gli Stati arabi. A impedire la pace non esistono più né il fronte del rifiuto né i blocchi ideologici del passato.

Da Israele le monarchie del Golfo desiderano anche dell’altro, per loro più vitale: un impegno a difenderle dall’Iran ormai designato come comune nemico.

Invece di protestare inutilmente contro l’arma nucleare “ebraica” (mai ammessa ufficialmente), a Riad hanno capito che è meglio mettersi sotto il suo ombrello. In questo senso anche da Washington pretende qualcosa: per esempio i caccia F35 fino ad ora negati. Il punto non è se tutti gli Stati del Golfo riconosceranno Israele, ma quando.

Per ora Netanyahu in cambio ha offerto l’ennesimo congelamento degli insediamenti e soprattutto della paventata annessione. Sembra poco ma è molto: da cosa dipenderà in futuro la sicurezza di Israele? Se l’alleanza con i paesi del Golfo sarà confermata, per la prima volta Gerusalemme potrebbe avere addirittura dei potenziali alleati in zona.

Le incognite per MBS

Gli esperti definiscono tale situazione come “esercizio di equilibrismo”: il corridoio aereo che unisce ora Israele con gli Emirati passa sopra i cieli d’Arabia, roba mai vista prima. Non vi è dubbio che alla protettrice di Mecca e Medina fa anche gola la possibilità di accedere liberamente a Gerusalemme, terzo luogo santo dell’Islam.

Tuttavia anche la più ardita geopolitica non basta e Riad rimane prudente: la composizione sociologica del paese è molto diversa da quella dei micro-stati attorno.

Non è detto che la popolazione saudita, molto conservatrice e segnata dal wahabismo, accetti la svolta con favore. Pesano moltissimo i decenni passati a odiare l’”entità sionista”.

Il gioco spericolato di MBS può essere ostacolato da uno dei suoi innumerevoli cugini che lui stesso ha fatto mettere agli arresti domiciliari.

La famiglia reale è spaccata: non è difficile immaginare che qualcuno possa riprendere la vecchia bandiera anti-sionista e far scattare i vecchi riflessi arabi.

Di conseguenza l’Arabia Saudita non può mostrarsi alla sequela di Stati più piccoli: deve ottenere da Israele qualcos’altro, di convincente e definitivo. Intanto ha bisogno di un sostegno di intelligence e tecnologia nella guerra in Yemen che si trascina da tempo senza vittoria.

Intanto MBS ha dichiarato che Neom, la futurista città ecologica del suo programma Vision 2030, sarà costruita davanti a Eilat: un altro modo per tendere una mano agli ex nemici.

Cosa farà ora Ankara? Erdogan ha appena ricevuto Ismail Haniyeh, il leader di Hamas che si poi è recato a Beirut da Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah filo-iraniani. Ciò che resta del fronte del rifiuto ha ricominciato a parlarsi. Ma l’avvicinamento tra Iran e Turchia è il modo migliore per spingere Riad e Gerusalemme ad intendersi.

© Riproduzione riservata