Con la selezione dei candidati alla cancelleria per i partiti dei cristiano democratici e dei verdi, la politica tedesca ha fatto un passo deciso verso le elezioni di settembre. Gli ecologisti volano nei sondaggi, facilitati anche dalle divisioni della Cdu orfana di Angela Merkel; con la designazione di Annalena Baerbock, giovane leader pragmatica ed Europeista convinta, mostrano di puntare alla cancelleria.

Nulla è ancora scritto e i sondaggi sono già in passato stati agrodolci per i verdi, non traducendosi in voti nelle urne; tuttavia, a meno di improbabili stravolgimenti, essi faranno parte della coalizione che governerà la Germania nei prossimi anni.

La presenza degli ecologisti al governo avrebbe implicazioni importanti per l’Europa, che oggi si trova ad un bivio importante: da un lato, nei prossimi anni ci sarà da gestire il programma Next Generation Eu che per la prima volta vede un (temporaneo) indebitamento comune e una sia pure limitata condivisone del rischio, e un vasto programma di investimenti nella modernizzazione delle nostre economie; dall’altro, ci sarà mettere mano alla governance della zona euro, che negli scorsi anni ha mostrato tutti i suoi limiti.

Disciplina e frugalità

Sarebbe illusorio pensare che dall’autunno prossimo la Germania diventi un campione delle politiche keynesiane, in casa e in Europa. L’enfasi sulla disciplina di bilancio come pilastro della crescita economica non sparirà certo con un semplice cambio di governo. Tuttavia, con l’arrivo degli ecologisti si farà strada l’idea che la disciplina sia cosa diversa dalla frugalità e che le politiche di bilancio debbano fare parte in pianta stabile della cassetta degli attrezzi del policy maker. Una frugalità di cui pagano il prezzo i tedeschi per primi

I molti anni di frugalità, pubblica e privata, iniziano a far sentire i loro effetti sull’economia tedesca. Fin dagli anni Novanta, l’investimento pubblico tedesco in percentuale del Pil è stato il più basso tra quelli dei grandi paesi europei. Il risultato è una strutturale carenza di capitale che, nei prossimi anni, limiterà la crescita tedesca.

In un rapporto sull’investimento pubblico che ho curato con la collega Floriana Cerniglia dell’Università Cattolica, un gruppo di colleghi tedeschi ha stimato in 450 miliardi nei prossimi dieci anni l’investimento necessario a colmare il deficit infrastrutturale tedesco. Tra il 2000 e il 2019 l'investimento privato tedesco è stato di molto inferiore alla media dell'Eurozona. E il forte impulso all’investimento e all’accumulazione di capitale pubblico costituisce una precondizione per un ritorno dell’investimento privato a livelli compatibili con una crescita sostenuta e sostenibile.

La coalizione per gli investimenti

Non sono solo i verdi oggi ad essere a favore di un vasto programma di investimenti pubblici. Anche i socialdemocratici della Spd ne hanno fatto un punto centrale della loro piattaforma politica. Ma contrariamente a questi ultimi, il partito ecologista è convinto che l’investimento pubblico debba aumentare in maniera strutturale, ed è favorevole ad una riforma del “freno al debito” (schuldenbremse), la norma costituzionale introdotta nel 2009 che limita il disavanzo strutturale federale allo 0,35 per cento del Pil.

Il candidato socialdemocratico alla cancelleria, l’attuale ministro delle finanze Scholz, su questo non si è finora sbilanciato; sul rigore di bilancio, negli scorsi anni, la Spd si è sempre allineata alla Cdu di Angela Merkel.

Gli effetti in Europa

Una Germania meno frugale, in cui investimenti pubblici e privati riprendessero forza, cesserebbe di essere un elemento destabilizzante per l’economia europea e mondiale. Da quasi venti anni gli eccessi di risparmio della Germania caricano sulle spalle del resto del mondo il fardello del sostegno alla domanda di beni e servizi necessaria ad assorbire la produzione mondiale.

Fin dai tempi di Barack Obama gli Stati Uniti hanno sottolineato gli effetti deflattivi che gli avanzi commerciali tedeschi hanno sull’economia mondiale, molto timidamente seguiti dalle autorità europee che non hanno mai avuto il coraggio di aprire procedure di infrazione per gli squilibri macroeconomici tedeschi (e olandesi). Anzi, le politiche di consolidamento di bilancio seguite negli anni successivi alla crisi greca hanno compresso la domanda domestica dell’eurozona, “germanizzandola”: oggi è l’Eurozona nel suo complesso ad avere un significativo avanzo commerciale nei confronti del resto del mondo.  

Una più vigorosa domanda domestica tedesca, quindi, garantirebbe una crescita più equilibrata e meno orientata alle esportazioni, meno pressione sui partner europei, e un contesto meno conflittuale in cui avviare la riorganizzazione del commercio mondiale resa necessaria dalla pandemia e dall’ascesa delle economie emergenti.

Un governo tedesco a trazione verde avrebbe anche un impatto significativo nel dibattito sulla riforma della governance europea. Nell’autunno prossimo la Commissione europea presenterà le proprie proposte per riformare il Patto di stabilità, che tanti danni ha fatto negli anni scorsi.

Tra le proposte in campo, quella che sembra avere più possibilità di concretizzarsi è quella di una “regola aurea” che consentirebbe di fare investimento pubblico in deroga ai limiti sul deficit.

La rinnovata enfasi sull’investimento pubblico in Germania potrebbe avere un ruolo importante nel sostenere una proposta in tal senso e quindi nell’eliminare almeno una delle cause del declino secolare dell’investimento pubblico in Europa.

Il dopo Merkel si apre mentre l’Europa si trova ad uno snodo cruciale della sua storia. Il probabile successo del partito ecologista apre la possibilità che, dopo un lunghissimo periodo di battaglie di retroguardia, la Germania possa tornare ad avere un ruolo propulsivo per l’economia e per il processo d’integrazione europeo.

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