L’accordo raggiunto fra Giorgia Meloni e il primo ministro albanese Edi Rama per la costruzione di due centri di permanenza per i rimpatri gestiti dal governo italiano ma localizzati in Albania, pur molto diverso da quanto stabilito tempo fa in materia di controllo dell’immigrazione con il presidente della Tunisia Kaïs Saïed, risponde alla stessa logica.

Troppo facile ma indispensabile sottolineare che una parte non piccola dell’attivismo della presidente del Consiglio italiana è deliberatamente orientata a costruire, mantenere, esaltare la figura e il ruolo di donna politica molto presente, laboriosa, rispettata sulla scena internazionale, capace di fare eccellere l’Italia in tutti i consessi che contano, ma soprattutto nei rapporti bilaterali.

Questo aspetto della logica dell’attivismo internazionale sembra anche volere suggerire che all’estero hanno una valutazione del governo Meloni di gran lunga superiore a quella, pure nient’affatto in calo, che esiste in patria, e soprattutto molto diversa dalle critiche, stridenti e non particolarmente efficaci né originali, delle opposizioni. Però l’attivismo internazionale è dispendioso in termini di tempo e di energie, e per lo più non sta in cima alle preoccupazioni degli italiani, tranne forse proprio per quel che riguarda l’immigrazione.

Nazionale e bilaterale

L’altra componente della logica dell’attivismo internazionale meloniano è complessa, ma decifrabile. Per molti studiosi e operatori, forse anche per la stessa Meloni, l’immigrazione è un problema non soltanto destinato a durare, ma soprattutto non suscettibile di alcuna soluzione ad opera di un solo Stato, per quanto forte e ben governato.

La soluzione, difficilissima, che richiederà adattamenti, innovazione, grande concordia, collaborazione convinta e prolungata, non può venire che da decisioni collettive, prese e attuate nella e dalla Unione europea.

Esclusivamente nel contesto di stati dotati di risorse e di capacità, ma anche consapevoli che hanno già oggi e avranno ancor più domani bisogno di lavoratori da trasformare in cittadini integrandoli nel tessuto economico, sociale, culturale delle rispettive nazioni, si può legittimamente nutrire l’aspettativa di porre sotto controllo, se non addirittura di orientare al meglio, flussi migratori epocali, che non cesseranno.

Probabilmente, sia perché conosce preferenze e posizioni dei suoi amici (?) sovranisti, a partire dal più protervo di loro, l’ungherese Viktor Orbán, sia perché crede poco alle capacità dell’Unione di produrre una soluzione che accontenti tutti, sia poiché vuole dimostrare di essere la prima della classe, sia, da ultimo, ma niente affatto infimo, in quanto è alla ricerca di un grande tema di cui lei sia l’interprete più originale e più di successo, Meloni mira a dimostrare che esiste una soluzione nazionale e che lei, passo dopo passo, accordo dopo accordo, bilaterale e bilaterale, l’ha trovata e la pone in pratica, se necessario in splendido isolamento, quando possibile senza escludere, capitasse mai, limitate convergenze con Bruxelles.

Nel frattempo, riserva alla Commissione una pluralità di rimproveri, in qualche misura appropriati, ma il tema migrazione è di competenza degli Stati nel Consiglio.

Il consenso

Giusto che le opposizioni facciano notare che di risultati positivi dall’accordo con la Tunisia non se ne siano visti. Altrettanto opportuno individuare tutte le criticità tecniche e di gestione dei Cpr, in special modo quelle riguardanti gli elementari diritti civili dei migranti, spesso abbondantemente non rispettati o palesemente violati.

Al proposito, talvolta Guantánamo è un termine di riferimento non particolarmente polemico né assurdo. Ma, in assenza di un pacchetto di soluzioni alternative praticabili in tempi necessariamente brevi, Meloni sta sull’onda alta dei sondaggi sulla sua personale popolarità e si propone di veleggiare verso il parlamento di Bruxelles con voti e seggi quantomeno quadruplicati.

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