Caro Direttore, 

nell’editoriale pubblicato sul Domani del 12 aprile scorso – Valutare tutto senza capire la tragedia ridicola dell’Anvur –, Raffaele Simone esprime opinioni personali sulle attività dell’Agenzia che ho l’onore di presiedere da poco più di un anno, ricordando in chiusura un vecchio articolo apparso sul Manifesto – Anvur, la tragedia di un’agenzia ridicola.

Le riflessioni condotte richiamano le vicende storiche che hanno portato all’istituzione dell’Agenzia, menzionando episodi risalenti nel tempo (2014 /2015) e spingendosi anche sul terreno dei criteri di selezione dei componenti del direttivo e dei costi di funzionamento dell’Agenzia.

L’autore, docente da diversi anni in pensione, non è probabilmente informato del Programma delle attività 2021-2023, recentemente adottato dal Consiglio direttivo, in linea con gli standard europei seguiti dall’Agenzia e che le hanno recentemente consentito l’ammissione nella rete europea delle Agenzie di valutazione ENQA. Riassume inoltre in modo improprio le procedure seguite nella selezione dei Consiglieri (affidata a una commissione internazionale di esperti) e sembra ignorare i curricula dei componenti in carica (consultabili sul sito Anvur); descrive poi con inesattezze le modalità di valutazione dei lavori scientifici ai fini della VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca) in corso, relativa agli anni 2015-2019, e i criteri di classificazione delle riviste ai fini dell’ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale).

Invero, un certo immaginario, al quale non si sottrae nemmeno il prof. Simone, considera ancora l’Anvur alla stregua di un “mostro burocratico e costoso”, dominato da oscuri algoritmi bibliometrici e citazionali.

Eppure, come riconosciuto da gran parte della comunità accademica nazionale e europea, l’Agenzia opera attraverso modelli partecipati e in piena trasparenza, con il contributo di diverse centinaia di esperti valutatori reclutati attraverso bandi pubblici o mediante sorteggio.

Essa, pertanto, promuove la valutazione come valore, contribuendo in modo efficace al complessivo miglioramento qualitativo del sistema universitario. Tale obiettivo risulta confermato dai dati: dalla data di istituzione dell’Anvur (2011) fino ad oggi, la ricerca in Italia è cresciuta, posizionandosi ottava al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche (fonte: SCImago), con un numero di ricercatori nel top 2 per cento per citazioni al mondo paragonabile a quello dei Paesi più sviluppati.

E ciò nonostante investimenti in ricerca di gran lunga inferiori rispetto a nazioni a noi vicine, molti meno dottorati di ricerca l’anno (9.000 in Italia contro i 15.000 in Francia e i 28.000 in Germania), molti meno ricercatori pubblici (appena 75.000 in Italia contro 110.000 in Francia e 160.000 in Germania).

Con riguardo al modello di valutazione della qualità della ricerca (VQR) l’esercizio in corso, relativo al quinquennio 2015-2019, consentirà di valutare le migliori pubblicazioni conferite dai dipartimenti universitari e degli enti di ricerca relative al periodo considerato (circa 190.000 lavori scientifici), con costi per pubblicazione inferiori rispetto al ciclo precedente.

Tale attività è affidata a 17 Gruppi di valutatori (GEV; non 14 come riportato nel pezzo), suddivisi in base agli ambiti disciplinari e composti complessivamente da 600 docenti universitari o ricercatori EPR, sorteggiati tra coloro che hanno fatto domanda essendo in possesso dei requisiti minimi di produzione scientifica; nel lavoro di valutazione, che li impegnerà nella seconda metà dell’anno in corso, i GEV saranno affiancati da qualche migliaio di revisori esterni anonimi (scelti all’interno della comunità scientifica nazionale e internazionale).

Antonio Felice Uricchio, presidente Anvur  


Risponde Raffaele Simone 

Il presidente dell’Anvur ha ragione quando dice, un po’ malignamente, che sono da alcuni anni in pensione. Ma deduce male: a dispetto di quel rude dato anagrafico, infatti, sono informatissimo su quel che riguarda la vita e il funzionamento del sistema universitario italiano (e anche di altri paesi).

Infatti, nel mio articolo non trova altro da contestare che il numero dei GEV (17 e non 14), anche se il caso vuole che abbia desunto quel numero proprio dal sito dell’Agenzia che presiede. Il resto delle sue riserve è generico e non sostanziato. Il fatto, poi, che alcuni episodi che cito risalgano al 2014/2015 (non proprio un secolo fa) non li rende men veri.

Allo stesso modo, conosco i curricula dei componenti in carica (e dei precedenti) per averli letti sullo stesso sito, dove ho letto anche il suo personale, che ho trovato piuttosto diverso da quello che ha accluso (non si capisce bene a che scopo) alla sua lettera a Domani.

Infatti, il CV inviato al giornale sottace inspiegabilmente alcuni degli elementi a cui mi riferivo descrivendolo come “uno spettacolare catalogo di cariche e funzioni, in sincronia e in diacronia”. E cioè non dice che da anni (2020 incluso; il CV per Domani si ferma al 2015) le pubblicazioni del presidente avanzano all’invidiabile ritmo di più di venti all’anno (tra queste, una in un volume su Linguistica ed economia, che purtroppo non sono riuscito a procurarmi) e che negli ultimi anni, accanto ai non meno di venti premi (ancora dal sito Anvur) ottenuti in Italia, Argentina, Albania, Uruguay e altri paesi, il presidente ha assunto decine di incarichi di insegnamento in luoghi disparati e di cariche le più svariate, ricoperte appunto “in sincronia e in diacronia”.

Quanto alla sostanza, la ricerca italiana sarà anche riuscita – come egli dice – ad arrivare, dalla nascita dell’Anvur (2011) a oggi, a piazzarsi “ottava al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche” e a incrementare le citazioni di alcuni suoi esponenti.

Ma non è affatto certo che la crescita del numero di pubblicazioni sia dovuta all’Anvur, mentre è sicuro che la qualità della ricerca non coincide col numero delle pubblicazioni e, meno ancora, con quello delle citazioni.

Infine, un fatto cruciale che Uricchio non può smentire, e che pesa come un macigno, è che non esiste docente italiano (inclusi quelli in pensione) a cui l’Anvur non sia inviso come un ente inutile e persecutorio.

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