Un database scrupolosamente aggiornato in questi anni dal Washington Post dice che Donald Trump ha mentito 30.573 volte durante il suo mandato, un computo che comprende le menzogne esplicite e le dichiarazioni fuorvianti o ambivalenti. Un sistema di filtri permette di dividere le bugie per tipologia, tematica, data, gravità e via dicendo, ma non c’è bisogno di strumenti tanto sofisticati per afferrare il dato essenziale, cioè che Trump ha condotto il suo singolo mandato presidenziale su una impressionante marea di bugie.

Alcune di queste hanno provocato gli atti di violenza eversiva che tutti abbiamo visto. Dalle balle compulsive e pericolose di Trump è disceso il grande dibattito globale sulla post-verità, i fatti alternativi e tutto il resto. Al presidente Joe Biden ovviamente tutto questo non è sfuggito, e saggiamente ha fatto precipitare la questione della difesa della verità in uno dei passaggi più potenti del suo discorso inaugurale: «Gli ultimi mesi e settimane ci hanno insegnato una lezione dolorosa: c’è la verità e ci sono le bugie (...) E tutti noi abbiamo il dovere e la responsabilità, come cittadini, come americani e soprattutto come leader (...) di difendere la verità e sconfiggere le bugie».

Ora che il generatore automatico di menzogne è stato cacciato dalla «democrazia che ha prevalso» tutto è risolto e la verità tornerà a splendere, giusto? Non così in fretta. C’è infatti una possibile tentazione per chi viene dopo un propalatore di panzane di tale portata, quella di credere che basti fare leggermente meglio per diventare automaticamente immacolati esempi di virtù. La menzogna, tuttavia, si scaccia dicendo la verità, non mentendo un po’ meno del premio Nobel per la balla, e non sarà semplice per Biden attenersi a questo standard. Sul piano vaccinale, ad esempio, un funzionario dell’amministrazione ha detto ai cronisti che «non c’è niente su cui possiamo lavorare, dovremo costruire tutto da zero».

L’affermazione è chiaramente falsa. Il piano messo in piedi da Trump è sgangherato e approssimativo come lo sono praticamente tutti i piani che la sua amministrazione ha concepito su qualunque tema, ma sotto la sua amministrazione, secondo il conteggio di Bloomberg, sono state somministrate 18,4 milioni di dosi. Nella sua ultima settimana alla Casa Bianca sono stati iniettati in media 939.973 vaccini al giorno, un numero in linea con l’obiettivo delineato da Biden, che intende vaccinare 100 milioni di americani in 100 giorni.

La complessa logistica della distribuzione deve tenere conto delle forniture e dei tempi di produzione, variabili che nemmeno il ricorso al Defense Production Act può permettere di controllare del tutto, quindi è possibile che nelle prossime settimane anche il miglior piano di distribuzione risulti in una flessione della media giornaliera delle dosi effettivamente iniettate, ma rimane il fatto che un piano che non esiste non può aver prodotto i risultati che si sono visti finora. È questione di logica, non di politica. Giovedì un cronista dell’Ap ha chiesto a Biden, a margine della firma di uno dei primi ordini esecutivi, se non dovesse forse darsi obiettivi più ambiziosi, visto che il suo piano replica quello che gli Stati Uniti fanno già. Lui non l’ha presa bene, ha spiegato che quando lo ha lanciato tutti gli hanno detto che era impossibile e ha concluso con un «give me a break».

Che si debba dare tempo a un’amministrazione appena insediata di prendere decisioni e mettere in atto strategie è un’ovvietà che non ci sarebbe bisogno di ripetere, ma sarebbe bene dare un break anche al pensiero scivoloso che sia legittimo contrastare le bugie dei cattivi con le bugie dei buoni. 

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