Lasciamo che i commentatori italiani si rincorrano l’un altro a prevedere disastri di un qualche tipo durante il semestre bianco e che superficialmente alcuni professori(oni) ne chiedano l’inutile abolizione. Quel che si intravede in questa fase non sono i partiti che approfittano dell’impossibilità di scioglimento del parlamento per rendere la vita difficile (e perché poi?) al governo quanto piuttosto qualche scricchiolio delle leadership dei partiti di governo. Non scricchiola la leadership di Giorgia Meloni, ma la sua solidità si accompagna alla sua limitata rilevanza, anche perché il numero dei parlamentari di Fratelli d’Italia deriva dai voti del marzo 2018, poco più del 4 per cento, a fronte delle intenzioni di voto oggi intorno al 18 per cento.

Ė Matteo Salvini a sentire il fiato dei Fratelli d’Italia sul suo pur robusto collo, ma c’è di più. Anche a causa di ambiguità, probabilmente strutturali, la linea che esprime nelle sue numerosissime apparizioni televisive, interviste, dichiarazioni non sembra largamente condivisa. Sulle due tematiche più importanti adesso e nel futuro prossimo: Covid e, in senso lato, Europa, nella Lega vi sono posizioni non coincidenti con quelle che Salvini ha dentro. Il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, non da solo, argomenta una linea rigorista sul Covid compreso il green pass e il ritorno a scuola. Sull’Europa e sul sostegno al governo Draghi, alta, forte e chiara è la linea che Giancarlo Giorgetti, avendola elaborata, continua a sostenere. Salvini incassa e guarda avanti, ma sembra avere perso baldanza.

Baldanzoso Giuseppe Conte non lo è stato mai, ma non è mai stato riluttante a esibire una non piccola fiducia nelle sue qualità personali e, in qualche modo, anche politiche. Adesso il problema, che sarebbe di difficile soluzione per chiunque, è come acquisire e affermare la sua leadership sul Movimento 5 stelle di ieri, vale a dire recuperando coloro che se ne sono andati o sono stati frettolosamente espulsi, e di domani, a cominciare da quel 15 per cento di elettori scivolati via.

All’interno del Movimento non ci sono sfidanti e forse neppure alternative, ma, fatte salve poche eccezioni, non si sente neppure grande entusiasmo, piuttosto attendismo: «Vediamo che cosa riesce a fare colui che voleva essere l’avvocato del popolo».

Enrico Letta è il segretario di un partito nel quale i capi corrente hanno notevole potere. Guerini, Franceschini e Orlando sono comodamente sistemati nei loro uffici ministeriali che implicano non poche responsabilità, ma danno anche notevole visibilità. Con alcune proposte, voto ai sedicenni, patrimoniale (stoppata, a mio modo di vedere, malamente, da Draghi) Letta ha voluto mostrare capacità di incidere sull’agenda politica, ma non può vantare successi e si trincera dietro il fatto inconfutabile dell’essere il Pd il più sincero e leale sostenitore di Draghi e del suo governo. Un qualche rafforzamento della sua leadership potrebbe venire sia dalle vittorie possibili in numerose elezioni amministrative a ottobre sia da un suo chiaro e netto successo nell’elezione suppletiva a Siena. Apparentemente Letta è il meno “sfidato” dei tre leader di cui sto discutendo, ma la storia del Pd, nel quale restano acquattati molti renziani/e, è anche fatta di repentine cadute e improvvise sostituzioni. La mia interpretazione è che nel semestre bianco, i partiti dovrebbero sentire il compito di rafforzare i loro profili politici al tempo stesso che si segnalano per capacità propositive. Vedo al contrario tensioni, non distruttive, ma che implicherebbero qualche ridefinizione di linee politiche. Non basterà un colpo d’ala nell’elezione rapida del successore(a) di Mattarella.

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