Lo scorso anno Amnesty International aveva messo in guardia sulla progressiva erosione del sistema di protezione globale dei diritti umani e sull’indebolimento degli strumenti di risoluzione dei conflitti e di cooperazione. Ora assistiamo a un’accelerazione di tutto questo, a causa delle politiche della nuova amministrazione americana
Esce oggi il Rapporto di Amnesty International sullo stato dei diritti umani nel mondo, pubblicato in Italia da Infinito Edizioni e contenente schede su 150 stati. Nel suo complesso, il volume evidenzia la continuità di due tendenze: l’inasprimento dei conflitti e la repressione delle proteste (dove l’Italia fa la sua parte).
Rispetto a quest’ultimo fenomeno, nel 2024 l’esempio peggiore è arrivato dal Bangladesh, con mille morti tra i manifestanti scesi in piazza lo scorso luglio per protestare contro una proposta di legge che avrebbe riservato una quota sproporzionata di posti di lavoro nel settore pubblico ai discendenti dei veterani della guerra di liberazione del 1971.
In Mozambico, da ottobre, le forze di sicurezza hanno dato luogo alla peggiore repressione delle proteste da anni dopo un contestato risultato elettorale, uccidendo quasi 400 persone. In Iran, contro le manifestazioni del movimento Donna Vita Libertà, sono proseguiti gli arresti, gli stupri in carcere, i processi e le condanne, anche a morte.
In Corea del Sud, invece, ha vinto il potere delle persone quando il presidente Yoon Suk-yeol ha sospeso alcuni diritti umani e dichiarato la legge marziale, per poi essere rimosso dall’incarico e veder annullati i suoi provvedimenti dopo proteste di massa.
E a voler vedere bene è successo qualcosa di positivo anche in Bangladesh: dopo quei mille morti, la prima ministra Sheikha Hasina è stata costretta all’esilio, il provvedimento contestato è stato annullato e alla guida del governo è stato nominato ad interim il Nobel per la pace Muhammad Yunus.
Conflitti
Quanto ai conflitti, Amnesty International ha continuato a documentare il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza; il sistema di apartheid e l’occupazione illegale in Cisgiordania si sono fatti più violenti. La Russia ha ucciso più civili ucraini nel 2024 che nell’anno precedente, proseguendo a colpire centri abitati e infrastrutture civili.
In Sudan il numero delle persone costrette a lasciare le loro case dopo due anni di guerra civile è salito a 11 milioni – il più alto al mondo – nella pressoché totale indifferenza mondiale, per non parlare di chi cinicamente ha sfruttato l’occasione per violare l’embargo sulle armi dirette verso il Darfur.
Nel 2024 è anche iniziato un attacco frontale alla giustizia internazionale. La “pietra dello scandalo” è il mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale il 21 novembre contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’allora ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza.
Il venir meno degli obblighi di cooperazione degli stati verso la Corte è poi emerso clamorosamente quest’anno, col mancato arresto dello stesso Netanyahu in Ungheria e la mancata consegna alla Corte, da parte dell’Italia, del ricercato libico Almasri.
Lo scorso anno Amnesty International aveva messo in guardia sulla progressiva erosione del sistema di protezione globale dei diritti umani e sull’indebolimento degli strumenti di risoluzione dei conflitti e di cooperazione.
Ora assistiamo a un’accelerazione di tutto questo, grazie all’“effetto Trump”.
Trump e i diritti
Nei primi 100 giorni del suo secondo mandato, il presidente degli Usa non ha fatto altro che mostrare profondo disprezzo per i diritti umani. La sua amministrazione ha subito preso di mira istituzioni statali e internazionali fondamentali e iniziative sorte per rendere il mondo più sicuro e più equo. Il suo assalto a tutto campo alla vera e propria essenza dei concetti di multilateralismo, asilo, giustizia razziale e di genere, salute globale e azioni sul clima decisive per salvare vite umane sta aggravando i danni già arrecati a quei principi e a quelle istituzioni.
Quel che è peggio è l’effetto Trump sta galvanizzando leader contrari ai diritti umani: uno su tutti, Viktor Orbán, che due settimane fa ha avviato una nuova fase repressiva facendo, come ha dichiarato, le “pulizie di Pasqua”, attraverso una serie di modifiche costituzionali che di fatto vietano i Pride, stabiliscono che il genere al momento della nascita non è modificabile e criminalizzano gli ungheresi e le ungheresi con doppia cittadinanza considerati “minacciosi”.
Con Trump, in definitiva, il diritto sta diventando “il diritto del più forte”: di imporre la pace a proprie condizioni, di costringere altri a riarmarsi per diventare ugualmente forti, di farsi beffe della giustizia internazionale.
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