Quando si incomincia a parlare di soldi Matteo Renzi drizza le orecchie.  Dopo essere stato quasi acquiescente nei confronti del capo del governo, il fiorentino ora risfodera lo stiletto. Il pomo della discordia è la gestione del gruzzolo in arrivo dall’Europa, l’ormai arcinoto Recovery Fund. Gli appetiti che i 209 miliardi hanno suscitato sono giganteschi. Riuscire a indirizzare e, ancora meglio, far gestire dagli amici e per gli amici una quota di questi finanziamenti è obiettivo primario. Non sia mai che qualcosa sfugga alla spartizione tra partiti, interessi e lobby. Renzi vuole essere della partita. Del resto, fin dai primi passi ha sentito impellente la necessità di dotarsi di strutture solidamente finanziate.

La fondazione Big Bang, poi trasformata in Open, che ha sostenuto la sua ascesa, prevedeva come finalità  statutaria di «supporta(re) le attività e le iniziative di Matteo Renzi»,  sostenendolo anche finanziariamente.  Uno scopo sociale di ampi orizzonti, in effetti. Certamente è difficile fare politica a piedi nudi. Ci sono riusciti solo i Radicali di Marco Pannella tanti anni fa. Nulla di più lontano dal modus operandi, smart e cool, del leader di Italia Viva.  

Date queste premesse, i nobili intenti di evitare una eccessiva e indebita concentrazione di potere nelle mani della presidenza del consiglio forse nascondono l’obiettivo di presidiare al flusso dei finanziamenti. E non è escluso che Renzi nutra i suoi affondi di un certo rammarico per non essere più a Palazzo Chigi a gestire la manna che scende da Bruxelles.

Tutto si può dire dell’ex presidente del consiglio fuorché che non sia un politico di razza e quindi, pur avendo a volte sbagliato clamorosamente le mosse per eccesso di self-confidence, certo ha una visione di gioco. Allora, dove vuole arrivare con questo assalto? 

Se va fino in fondo e toglie la fiducia al governo siamo alla crisi, altro che rimpasto. Conte sale al Quirinale e Mattarella o lo rimanda indietro per una verifica e Renzi si rimangia tutto, o scioglie le camere. Una terza soluzione “tecnica”, montiana o cottarelliana, è stata esclusa più volte dal presidente della Repubblica (e lasciamo in santa pace Draghi, per una volta).

Anche perché, piccolo particolare, in questa legislatura ogni governo ha bisogno dell’avallo dei  Cinque Stelle. Che non digerirebbero mai un governo tecnico. Cosa può convincerli ad abbandonare Conte? Solo un governo Di Maio, l’unica merce di scambio possibile per i pentastellati.

Già, ma a questo punto il Pd farebbe ancora il portare d’acqua per gli altri ritagliandosi per l’ennesima volta il ruolo di partito responsabile e istituzionale? C’è un limite a tutto. Quindi, questa ammuina serve a Renzi per tornare sul palcoscenico e preparare una ricollocazione  strategica: formare un nuovo ulteriore centro che raccolga qualche pezzo di Forza Italia, e per controbilanciare, conceda qualcosa a Bonino e Calenda. Visti i precedenti e il clima d’opinione del paese, ha bisogno di molti auguri.  

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