Queste elezioni norvegesi sono state totalmente dominate dal futuro del petrolio: deve la Norvegia continuare a produrlo oppure passare alle rinnovabili? I verdi norvegesi, probabilmente decisivi per comporre una maggioranza a sinistra con i loro 7 seggi (aumento di 6), lo hanno ripetuto in tutti comizi: dal 2035 la Norvegia non deve più produrre idrocarburi. In termini globali per contenere il riscaldamento terrestre nel limite di 1,5 gradi bisognerebbe fermare tutte le perforazioni.

In Norvegia i critici della posizione verde fanno notare che il paese fornisce soltanto il 2 per cento del petrolio e il 3 per cento del gas globali, porzione irrisoria per influire sui cambiamenti climatici. Tuttavia i verdi norvegesi hanno imposto l’agenda e anche il partito dei lavoratori-laburisti vincitori del voto con 48 seggi- si dice pronto a ridurre la produzione.

Il petrolio al centro

La campagna elettorale per la prima volta affronta la delicata questione del petrolio, fino ad ora celata dietro altri temi nazionali come welfare, moneta, diritti umani, Europa, migrazioni o sostenibilità. Grazie ai verdi è emersa la “oljeskam”, la vergogna del petrolio, un sentimento nascosto che viene alla luce. Sembra quasi che si metta in atto una singolare ma realistica replica della famosa serie tv norvegese Occupied che qualche anno fa ha avuto un successo mondiale.

In Occupied l’incipit è lo stesso della realtà attuale: un premier eletto perché ha deciso la sospensione delle estrazioni. La fiction enfatizza le conseguenze: una Norvegia occupata dalla Russia per conto della Ue (il vero cattivo), entrambe interessate al gas e al petrolio oltre che intrise di un malcelato disprezzo per il piccolo paese nordico. Uno scenario da fiction che si vuole verosimile e che oggi la realtà pare abbia deciso di imitare almeno nel discorso di fondo.

La serie tv non è incentrata sulle gesta di qualche agente segreto o di un leader politico, ma attorno al destino incerto di un popolo che entra nella “zona grigia” dell’occupazione soft, dell’influenza maligna degli estranei. Il sentimento generale della serie è che dall’esterno giunge sempre la minaccia: meglio chiudersi. Ciò non è tanto diverso da ciò che accade nella realtà attuale e non solo in Norvegia.

Come nella realtà, non ci sono buoni né cattivi in Occupied, ma ogni personaggio possiede entrambi i lati. Forse l’unico vero “cattivo” è proprio l’Unione europea che  si vede pochissimo ma incombe come un cinico comitato d’affari in cerca di risorse e senza prendersi responsabilità.

L’emblema della fiction è il grigio: sotto un tempo atmosferico quasi sempre grigio, la trama si dipana nella zona grigia del potere e della politica, al confine tra giusto e sbagliato, tra bene e male, in cui ai personaggi è chiesto di districarsi tra difesa dei propri interessi e ricerca di sopravvivere.

Protagonista un immaginario (ma forse ormai neanche tanto) primo ministro norvegese ecologista che vuole chiudere i pozzi del Mare del Nord ma a cui l’Ue si oppone, chiedendo ai russi di fare il lavoro sporco per lei.

Così i russi occupano militarmente le piattaforme off-shore e il premier è costretto a venire a patti accettando una presenza russa sempre più invasiva. Alla fine, dopo molte peripezie, pare aver trovato un equilibrio politico ma resta solo, anche a causa del disimpegno degli americani che lo abbandonano dopo tante promesse (anche qui realtà e fiction convergono).

Nell’intreccio lo si vede sopportare sempre meno le condizioni russe ma anche cercare di evitare la guerra contro di essi, che provocherebbe un massacro.

Così la storia si dipana costantemente sul filo del rasoio, sospesa tra il male e un bene che potrebbe diventare un male maggiore. Il primo ministro alla fine di dimette e si ritira in Svezia. Nella fiction il Parlamento sceglie come successore la sua ex capo di gabinetto, anche lei sulla linea del “male minore”, conservata con sempre maggiori difficoltà.

La stessa ambasciatrice russa a Oslo, Irina che funge da proconsole, non vuole la guerra e si barcamena tra l’astio norvegese e i falchi di Mosca, dove la considerano troppo morbida. Le opposizioni interne si fanno sentire, così come la “Norvegia libera”, un gruppo della resistenza all’occupazione che compie attentati contro i russi, uccidendo anche molti civili.

La polizia rimane legittimista mentre l’esercito norvegese mostra segni di ribellione. Utilizzando un videogioco, gli alti ufficiali comunicano con i capi ribelli e tramano un colpo si stato interno per cacciare i russi. L’Unione europea, più volte interpellata, non dà nessun aiuto.

Il dilemma

01 September 2021, Norway, Oslo: A flyer with a drawing of Norwegian Prime Minister Erna Solberg is stuck in a hedge outside the parliament in Oslo. Norway elects a new parliament on September 13. (to dpa "Social democratic Scandinavia? Norway faces change of government") Photo by: Steffen Trumpf/picture-alliance/dpa/AP Images

I norvegesi restano soli e il loro dilemma è sempre lo stesso: cercare la libertà rischiando una guerra senza speranza contro i russi, o sottomettersi per garantire pace e stile di vita acquisito? Bagno di sangue o preservazione? La guerra è evitata per un soffio ma tutti i problemi restano irrisolti. Chi ha ragione in Occupied?

Apparentemente nessuno, un po’ come nella realtà. Nemmeno i norvegesi, che pur sono le principali vittime: anche tra loro c’è divisione, opportunismo, cocciutaggine. La cosa interessante è che la fiction è talmente politica da essere stata commentata da esperti della materia e da far discutere soprattutto oggi davanti alla crescita del partito verde e dei suoi slogan.

Alcuni passaggi sono molto realistici, anche se taluni hanno fatto osservare un tasso troppo alto di russofobia che pervade molti episodi: ma anche quest’ultima non è diventata un sentimento diffuso tra i paesi scandinavi e i baltici?

Tuttavia i russi –pur se occupanti- sono descritti in maniera sfaccettata, articolata e non semplificata. Chi davvero fa la parte del cinico è l’Europa, che non si sporca le mani ma gestisce nell’ombra: una visione molto vicina alle idee degli euroscettici ma anche dei delusi della solidarietà europea (almeno fino la Next Generation Ue).

Occupied risente certamente dell’atmosfera che c’è in politica internazionale e che si ritrova nella campagna elettorale norvegese: questione energetica e energia rinnovabile; antipatia per l’Europa comunitaria; paura dei russi; la domanda su quale prezzo vada pagato per mantenere la pace e/o il benessere europei; assenza americana; opportunismo tedesco; divisione tra scandinavi; falchi e colombe a Mosca…e così via. Nella realtà a Oslo i sondaggi dicono che il 34 per cento della popolazione è d’accordo sul chiudere i pozzi: una posizione trasversale.

La campagna elettorale dei verdi ha prodotto cambiamenti sostanziali che potranno causare un terremoto politico oltre l’abitudine norvegese a comporre colazioni deboli o governi di minoranza. Solo l’estrema destra continua a sostenere il settore petrolifero senza sfumature: “drill, baby, drill” (perfora, cara, perfora) è lo slogan dei giovani del partito del progresso, il più a destra dello scacchiere politico norvegese, che però esce male dalle consultazioni. Resta da vedere se i laburisti faranno alleanza con tutta la sinistra oltre che con i centristi, spostando l’asse del potere, oppure si accorderanno anche con i verdi. 

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