Il faticoso parto della seconda bozza del Recovery Plan ha polarizzato partiti e commentatori. Ora che si entra in una fase di definizione operativa dei progetti è utile cercare di far chiarezza sgombrando il campo da critiche di parte e sottolineando le reali criticità del progetto.

Per assicurare da un lato la coerenza d’insieme dei piani nazionali e dall’altro lato il controllo sulla destinazione dei fondi, la Commissione ha pubblicato in settembre delle linee guida estremamente stringenti individuando tre grandi assi (transizione ecologica, digitalizzazione e coesione sociale) e una complessa griglia di aree di policy e “componenti” che dovrebbe contenere e rendere coerenti i progetti di investimento.

I circa cento progetti di investimento cui si comporrà il Piano italiano sono stati raggruppati in missioni coerenti con le indicazioni della Commissione.

Si dovrebbe entrare ora in un processo di consultazione con amministrazioni pubbliche ed enti locali per definire, per ogni progetto, cronoprogramma, (stati di avanzamento, obiettivi quantitativi), risultati attesi e necessità di finanziamento. Questi dettagli serviranno per il monitoraggio da parte della Commissione che condizionerà l’esborso dei fondi al raggiungimento degli obiettivi intermedi dichiarati.

Cosa c’è di buono

Iniziamo dagli aspetti positivi della bozza. In primo luogo, si è scelto di coinvolgere amministrazioni ed enti locali nella proposizione di progetti che sono poi stati selezionati e organizzati in insiemi coerenti, che a grandi linee rispondono ai bisogni di modernizzazione del paese. In altri paesi il piano è stato fatto calare dall’alto.

Inoltre, rispetto alla prima stesura il Piano è stato ribilanciato a favore degli investimenti: il ministero dell’Economia è riuscito a resistere all’assalto alla diligenza. Infine, il Piano propone gli assi riforma “giusti” (sistema tributario, giustizia, mercato del lavoro), individuando i punti di debolezza del sistema paese. Si tratta insomma di un progetto d’insieme più che accettabile.

Vediamo ora gli aspetti problematici, o presunti tali. Una prima critica che sembra infondata riguarda l’assenza di dettagli sui singoli progetti. L’Italia, che lavora anche di concerto con la Commissione, non è particolarmente in ritardo, dato che i Piani dovranno essere consegnati il 30 aprile.

Certo, non bisognerà perdere tempo, e le fibrillazioni di questi giorni non sono segnali positivi, ma il bilancio andrà fatto in maggio. In questa fase era più importante concentrarsi sulla coerenza d’insieme del Piano.

Particolarmente pretestuosa, poi, è l’accusa di aver “sprecato” 20 miliardi (erano 9 nella prima bozza, fortunatamente corretta) per la sanità, quando sarebbero stati disponibili i 36 miliardi del Mes. I critici sembrano dimenticare che i fondi del Mes servirebbero a coprire i costi diretti e indiretti della pandemia, mentre il Recovery è stato pensato per investimenti di medio-lungo periodo.

Chi ha ritirato la delegazione dal governo chiedendo a gran voce il Mes sicuramente sa che la Commissione non avrebbe mai accettato l’utilizzo dei 36 miliardi per lo sviluppo della telemedicina o per la digitalizzazione dell’assistenza sanitaria.

I punti critici

Sgombrato il campo dal rumore di fondo, rimangono alcuni punti critici, abbastanza sostanziali. In primo luogo, se l’accusa di vaghezza sui progetti di investimento appare a questo stadio pretestuosa, il Piano manca di dettagli sulla parte “riforme”, che su diversi aspetti si limita a condivisibili ma vaghe dichiarazioni di principio.

Inoltre, il piano è estremamente vago sulla governance, probabilmente a causa delle polemiche sulla cervellotica superstruttura commissariale frettolosamente annunciata in autunno dal premier.

Tuttavia, la mancanza di capacità progettuale ed esecutiva dell’amministrazione è un problema e contribuisce a spiegare perché parte sostanziale dei prestiti del Recovery Fund andrà a finanziare progetti in essere: sarebbe stato impossibile definire e attuare nuovi progetti per più di 200 miliardi.

Sarebbe stato auspicabile vedere maggiore enfasi sul rinnovamento della pubblica amministrazione, ad esempio formazione e rinnovamento generazionale, le linee indicate dal Forum Disuguaglianze Diversità.

Infine, ed è la criticità più importante, l’apprezzabile risultato di definire un insieme di progetti coerenti tra loro e con gli obiettivi definiti dalla Commissione non è stato innestato su scelte strategiche di fondo (verso che modello energetico dobbiamo orientarci? Quale progetto di sviluppo industriale per l’Italia? Che rete di trasporti italiana ed europea?).

Il Recovery Plan rimane un esercizio isolato – sia pure complessivamente ben fatto e di dimensioni poderose – e non è messo al servizio di un progetto di sviluppo di lungo periodo.

Non si poteva ragionevolmente pretendere che la “maggioranza per caso” nata dal suicidio del Papeete fosse in grado di elaborare un progetto del genere durante una pandemia che ha assorbito tutte le energie di governo e partiti di maggioranza.

Appare tuttavia necessario che nei prossimi mesi si inizi a lavorare ad un’idea condivisa di paese che consenta di accompagnare il Recovery Plan con politiche e riforme coerenti.

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