I supermercati sono una delle spie del nostro paese. È lì che ognuno di noi riversa le proprie paure, le angosce del presente. È valso nei primi due anni di pandemia, quando abbiamo riempito le nostre dispense convinti che, dì lì a poco, gli scaffali si sarebbero svuotati. Qualcosa di simile sta accadendo da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Ci siamo scoperti accaniti consumatori di olio di girasole, costringendo diverse catene della grande distribuzione a contingentare il numero di confezioni acquistabili.

Ma siamo davvero alla vigilia di una crisi alimentare?

Secondo il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli «a tutt’oggi non esistono allarmi per il nostro paese»

Le sue parole hanno risuonato ieri nell’aula della Camera dei Deputati nel corso dell’informativa urgente sulla crisi del comparto agroalimentare a seguito dell’invasione in Ucraina.

Il valore dell’import di materie prime da Russia e Ucraina non supera il miliardo di euro, meno del 2 per cento del totale di ciò che importiamo da paesi terzi. Eppure è proprio paventando la carestia che la Commissione europea e lo stesso ministro hanno iniziato a concedere deroghe ai vincoli ambientali nella coltivazione.

Laddove c’erano pascoli si potrà coltivare, lo stesso vale per quelle strisce di terra - le cosiddette aree ecologiche - ultimi brandelli di natura rimasti a tamponare il collasso degli uccelli e degli insetti impollinatori.

Patuanelli sottolinea che la Commissione europea «si è mostrata disponibile ad autorizzare importazioni temporanee di materie prime dai Paesi terzi anche in deroga ai limiti massimi di residui fitosanitari».

Queste deroghe, però, non serviranno a produrre più “mangiare”, ma più “mangime”. La crisi attuale, acuita dal conflitto, sembra più una crisi del foraggio che una crisi alimentare.

L’Ucraina fornisce quasi la metà del mais dell’Ue (15 per cento per l’Italia) che serve per nutrire animali rinchiusi in allevamenti intensivi. 

Quello che sta accadendo è che per contrastare una carestia che, almeno in Italia, non ci sarà, pagheremo gli agricoltori per coltivare più mais per gli allevamenti intensivi.

Contro gli ambientalisti 

Questo racconto è funzionale a riscrivere le regole del gioco. Non è un caso che alle parole di Patuanelli abbiano fatto eco quelle di Guglielmo Golinelli, deputato della Lega, che, riprendendo la trita retorica degli “ambientalisti da salotto”, chiede di «rivoltare la Pac, la politica agricola comunitaria, come un calzino». Quello di Golinelli è un pensiero condiviso da molti: stralciare i vincoli ambientali dell’agricoltura con la scusa della guerra. 

Un terzo della crisi climatica è causata proprio da sistemi alimentari energivori. Se ce lo ricordassimo, approfitteremmo di questa drammatica fase per ripensare il modello agricolo, partendo dal ridurre la produzione di carne. In un colpo solo avremmo dato una spallata alla crisi cerealicola e a quella climatica. 

Mentre ripensiamo il modello agricolo, potremmo anche risalire lungo la filiera e soffermarci sulle responsabilità della grande distribuzione: Patuanelli teme che un aumento dei prezzi al consumo non compenserebbe il mondo agricolo dei costi crescenti, stimati a 16 mila euro l’anno ad azienda. 

Il rischio è infatti che si trasformino solo in maggiori profitti per la grande distribuzione. Ma a cosa serve la politica se non a raddrizzare queste storture e riequilibrare i rapporti di forza?

Perché il ministro di un governo osserva quelli che lui stesso definisce “problemi storici” del mercato senza proporre azioni correttive?

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