Nella conferenza stampa della Bce di ieri, dopo la riunione in cui è stato confermato l’aumento dei tassi di 75 punti, il giornalista del Financial Times ha chiesto un commento della presidente Christine Lagarde sulle critiche che «alcuni governi, compreso il nuovo primo ministro italiano» hanno fatto alla stretta monetaria, accusata di nuocere alla crescita.

«Fa quello che deve fare»

La risposta è stata che la politica monetaria «fa quello che deve fare», cioè fermare a tutti i costi l’inflazione.

Speriamo abbia un successo maggiore e più rapido di quando, per diversi anni, ha cercato di alzare l’inflazione, mandando i tassi sotto zero e inondando l’economia di moneta.

Molti criticano la stretta monetaria perché l’inflazione viene dai prezzi dell’energia e dalla guerra, non dall’eccesso di liquidità e di domanda. Ma l’inflazione si è diffusa dappertutto nel sistema dei prezzi e non è più riconducibile al semplice aumento del gas. Inoltre, gli stessi costi energetici hanno potuto accendersi perché la liquidità delle economie forniva il combustibile.

La scommessa delle autorità monetarie è ora di ridurre rapidamente le aspettative di inflazione che dovrebbero poi influire sulla formazione dei prezzi, rallentandone la crescita.

Non solo sono stati aumentati i tassi, ma è stata annunciata l’intenzione di continuare ad aumentarli nelle prossime riunioni del Consiglio della Bce. Non si sa quanto e fino a quando.

Sono state inoltre rese meno favorevoli le condizioni dei prestiti a lungo termine fatti in passato dalla banca centrale alle banche, nell’intento di indurre queste a rimborsarli, contraendo così la liquidità per i loro prestiti.

In dicembre si discute il Qe

La mossa potrebbe anche aumentare i costi dei debiti pubblici, i cui titoli sono ampiamente acquistati dalle banche.

Cambiare le condizioni di prestiti in essere potrebbe rivelarsi rischioso per il successo di prestiti futuri, ma mostra la forte determinazione della manovra. Che per ora non comprende la cessazione del reinvestimento dei titoli di stato in scadenza, comperati in passato con il quantitative easing.

Qualcosa, però, si sta per muovere anche su questo delicato fronte: Lagarde ha annunciato che in dicembre si cominceranno a precisare le regole con cui la scorta di titoli verrà ridotta.

Risposte vaghe

Se si chiede quando smetterà la stretta, la risposta delle banche centrali è: quando l’inflazione sarà all’obiettivo del due per cento. Dato che nell’eurozona è al 9,9 per cento la strada da fare è tanta. E la risposta è vaga, perché l’effetto della politica monetaria sull’inflazione ha ritardi lunghi e incerti: la stretta non si fermerà quando l’obiettivo dell’inflazione sarà raggiunto ma quando si penserà che la stretta basti per raggiungerlo dopo un tempo incerto.

I mercati chiedono un orientamento più affidabile.

Il problema è comune anche alle altre principali banche centrali, tutte in affanno perché hanno esagerato in passato con l’espansione e hanno tardato a smetterla.

A mandare le loro mosse fuori giri sono state anche le esigenze straordinarie della pandemia.

Queste le hanno indotte a chiudere forse troppo presto le revisioni strategiche che avevano avviato prima del Covid-19, quando cominciavano a sentirsi insicure. Sicché le revisioni sono risultate inadeguate.

Per recuperare credibilità potrebbero riprenderle e adottare qualche regola che renda più difficile il loro eccedere in un senso o nell’altro. Un tempo, ad esempio, la variazione dei loro tassi di interesse era collegata da una regola flessibile a una misura dell’inflazione e della crescita reale dell’economia.

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