No agli apprendisti stregoni della legge elettorale

Appena si inizia a parlare di sistemi elettorali da cambiare si addensa la solita folla di apprendisti stregoni. E comincia la danza (macabra per la democrazia) dei più fantasiosi marchingegni, tutti pensati per favorire chi è al governo. Iniziò Silvio Berlusconi a imbrogliare le carte, via Roberto Calderoli, con il Porcellum, concepito appositamente per evitare che l’Unione prodiana vincesse le elezioni del 2006. Peccato che il giochetto non sia riuscito, per una volta. Anche se, non dimentichiamo, all’indomani dello spoglio in cui la coalizione di centro-sinistra risultò vincitrice di strettissima misura (25.500 voti) il Cavaliere evocò brogli e nefandezze varie fino ad affermare perentoriamente che «il risultato deve cambiare». Per fortuna, al Quirinale c’era un galantuomo come Carlo Azeglio Ciampi che seppe tenere la barra dritta con un fin de non-recevoir. Questo a dimostrazione che il Quirinale deve rimanere in mani autorevoli quanto imparziali, a garanzia di tutti. Riforma elettorale, a chi serve? A Meloni. Le opposizioni: «Ora trasparenza» Proporzionale In attesa di vedere cosa uscirà dalla bottiglia del genio della destra, è utile ricordare che le democrazie consolidate hanno adottato metodi di voto semplici e collaudati. E che non li hanno mai cambiati, salvo quando ci sono stati profondi mutamenti costituzionali, come il passaggio dalla IV alla V Repubblica francese nel 1958. In linea di massima, i sistemi di voto si dividono in proporzionali e maggioritari. I primi “fotografano” le opinioni presenti nella società: si vota su liste di partito e i seggi ottenuti sono, grosso modo, in proporzione ai voti. Tot voti tot seggi. Poi se andiamo nello specifico ci sono molte varianti e aggiustamenti, come quello tedesco che ha una soglia di sbarramento del 5 per cento per accedere al parlamento. La frammentazione della rappresentanza insita in questo tipo di scrutinio è il prezzo che si paga per includere nel sistema tutte le sfumature presenti nella società. Infatti il proporzionale è un sistema includente. Per citare un caso recente, l’Olanda, che adotta un sistema altamente proporzionale ha portato in parlamento 16 formazioni tra grandi e piccole. Quindi in questo caso va esercitata la virtù della mediazione e del compromesso. Il contrario di quel vae victis che si sente echeggiare nella nostra politica (anzi, la destra al governo oggi lo applica senza sconti). Mancini (Pd): «Riforma elettorale, l’idea di Meloni è una legge-truffa» Maggioritario L’altro grande ceppo dei sistemi elettorali rimanda a quelli maggioritari che non si curano della rappresentanza ma puntano a favorire la concentrazione dei consensi su pochi partiti, in linea principio due, con l’obiettivo della governabilità. Qui due sono le varianti: l’inglese e la francese. I britannici, da sempre, votano non per liste di partito ma per candidati, tutti indicati da un partito (non esistono indipendenti). Il paese è suddiviso in tanti collegi quanti sono i deputati da eleggere e chi arriva primo in quel collegio, indipendentemente dal numero di voti raccolti, va a Westminster. Questo sistema ha assicurato, quasi sempre, governi sorretti da maggioranze monopartitiche ma ha marginalizzato le forze minori. È un sistema escludente. Meloni vuole il proporzionale, è pronta a cedere la Lombardia alla Lega L’altra variante dei sistemi maggioritari è quella francese del doppio turno. Anche qui si vota per scegliere il proprio candidato, collegio per collegio, ma in due tempi. Il primo turno serve a conteggiare i voti di ciascun candidato: una panoramica delle preferenze. Se nessuno supera il 50,1 per cento dei voti si passa al secondo turno, a cui però possono accedere solo quelli che al primo turno hanno superato la soglia del 12,5 per cento degli aventi diritto (non dei votanti). Questo sistema ha il merito di consentire anche ai piccoli partiti di avere rilievo dando loro un potenziale di coalizione, e di favorire la formazione di coalizioni alternative. Inoltre fornisce agli eletti una forte legittimità: siccome al secondo turno si presentano quasi sempre due soli candidati, espressione delle coalizioni alternative, chi vince ottiene più del 50 per cento dei voti. A onor del vero le cose sono un po’ cambiate negli ultimi anni perché la crescita di un partito estremo, e finora non coalizionabile, come il Rassemblement national di Marine Le Pen, ha causato al secondo turno, in molti collegi, uno scontro a tre, non più a due: con il risultato che in quei casi il vincitore non ha superato il 50,1 per cento dei voti. Comunque il doppio turno francese unisce le virtù del proporzionale (espressione delle preferenze) e del maggioritario (scelta del candidato e forte legittimità). Qualunque sia la scelta del nuovo sistema elettorale vanno evitati, per una volta, pasticci e mostriciattoli. Giuseppe Conte: «Meloni fa poco e male su tutto. Ha consenso grazie a tv e giornali. L’Ulivo? Noi dobbiamo durare»