Dopo l’Ai Act europeo, è ora la volta del disegno di legge sull’intelligenza artificiale approvato dal governo, su proposta della presidente Giorgia Meloni e del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Un testo che contiene molti princìpi e definizioni (alcune delle quali già presenti nell’Ai Act, con una rischiosa sovrapposizione normativa), ma pochissimi precetti. Tante declamazioni, qualche obbligo dai confini incerti, poche sanzioni.

Le risorse

Il disegno di legge sembra più un atto propagandistico, il sussulto di un paese in cui scarseggiano gli investimenti in innovazione e che prova disperatamente a sedersi al tavolo dei grandi. Nel settore tecnologico e in un’economia globalizzata, le corse in avanti servono a poco, come la storia della legislazione degli ultimi trent’anni ci ha insegnato. Servono ancora meno, se lo sforzo normativo produce molte petizioni di princìpi, che non si traducono in regole chiare.

Secondo il testo approvato dal governo, le pubbliche amministrazioni devono stare al passo con i cambiamenti, però a costo zero. Si afferma laconicamente: le «amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’adempimento delle disposizioni della presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».

Il che, tradotto nei fatti, significa che non potranno essere affidate consulenze esterne a soggetti dotati di reali competenze, ma bisognerà fare affidamento sulla buona volontà di qualche funzionario che, nel tempo libero, avrà il buon cuore di aggiornarsi e documentarsi. Insomma, dovete innovarvi, ma soprattutto arrangiarvi.

Nuovi reati

Di nuovo, basta voltare lo sguardo al recente passato, dove spesso il rapporto tra pubblica amministrazione e innovazione ha portato più adempimenti dispendiosi (anche in termini di tempo), che soluzioni. Siamo pur sempre il paese la cui amministrazione della capitale impiega anche un anno per rilasciare un passaporto: davvero confidavate che saremmo diventati all’improvviso i campioni nelle tecnologie di intelligenza artificiale?

Senza indugiare sui cahiers de doléances, che potrebbero continuare a lungo, si segnala che il disegno di legge prevede una nuova fattispecie di reato (“Illecita diffusione di contenuti generati o manipolati con sistemi di intelligenza artificiale”), che punisce coloro che compiono atti a indurre in inganno sulla genuinità dei contenuti creati, con la pena da uno a cinque anni di reclusione se dal fatto deriva un danno ingiusto.

Novità anche in materia di diritto d’autore: occorre apporre un elemento o un segno identificativo nel caso in cui una tecnologia di intelligenza artificiale sia stata utilizzata per la creazione o per la modifica di contenuti testuali, fotografici, audiovisivi e radiofonici.

Oltre la bandierina

Il perimetro di applicazione della norma è oscuro: farebbero eccezione i contenuti che sono parte di un’opera o di un programma manifestamente creativo, satirico, artistico o fittizio, però non si chiarisce quando un’opera o un programma possa essere tale (piccola avvertenza: tutte le opere tutelate dal diritto d’autore sono creative e artistiche). Ovviamente, non riuscendosi a dire di più, si rinvia la palla a codici di condotta che saranno approvati dall’AgCom.

Sull’utilizzo dell’Ia in sanità, nel mondo del lavoro e delle professioni, tante belle parole, ma nessuna disposizione cogente: insomma facciamoci bastare i princìpi, per le regole certe ed effettive c’è tempo. Di fronte allo sconforto di un testo così raffazzonato, la speranza è che, in sede di approvazione definitiva, si provi a migliorarlo e a riempirlo di senso.

Magari ponendosi una domanda: vogliamo piazzare la bandierina tricolore nella corsa legislativa sull’intelligenza artificiale o provare a risolvere qualche problema concreto?

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