È strano come tanti facciano finta di non aver capito le parole, inequivoche, di Mario Draghi nella sua conferenza stampa di fine anno. E allora riproponiamole ai distratti. Il presidente del Consiglio si è detto disponibile ad essere eletto al Quirinale. Dopo che per mesi partiti e opinionisti avevano sostenuto che era il presidente del Consiglio a doversi pronunciare sul suo eventuale trasloco al Colle, ora che ha rotto il silenzio, fingono di non aver capito.

Draghi è in campo, e manca solo un leader di partito che lo candidi formalmente. Se Enrico Letta, il più favorevole tra tutti i segretari a questa ipotesi, prendesse una iniziativa in tal senso porrebbe il Pd alla testa dello schieramento pro-Draghi. Con tutti i benefit politici che ne deriverebbero.

Nessuno è insostituibile

Il fuoco di sbarramento di chi dice meglio lasciarlo a palazzo Chigi elude il secondo elemento chiarificatore emerso dalle parole del presidente del Consiglio: nessuno è insostituibile, e altri posso tranquillamente assumere la guida dell’esecutivo. Ad una condizione, però. E qui viene la terza precisazione fatta da Draghi: che la maggioranza per eleggere il capo dello Stato coincida, come minimo, con il perimetro dell’attuale coalizione di governo.

Nel caso invece la coalizione si spaccasse non avrebbe senso riproporla il giorno dopo, facendo finta che non sia successo niente. Non è mai accaduto che un presidente della Repubblica sia stato eletto rompendo la maggioranza senza conseguenze per la stabilità dell’esecutivo: nell’unico caso in cui il governo si divise, nel 1971, quando Giovanni Leone venne portato al Quirinale dai voti democristiani, liberali e missini contro socialisti e repubblicani, la coalizione di centro-sinistra andò in frantumi causando elezioni anticipate (e poi una nuova formula di governo).

Altri sette anni

Quindi, non ci può essere continuità governativa se non c’è accordo su chi portare al Colle. Tutti quelli che insistono affinché Draghi rimanga a palazzo Chigi dovrebbero anche indicare quale nome qurinalizio può rappresentare la stessa maggioranza. Perché in caso contrario, con una elezione divisiva, cade il governo e la risorsa Draghi è definitivamente persa per l’Italia: è lunare pensare che l’attuale presidente del Consiglio si acconci a continuare a governare dopo che la sua maggioranza è andata in pezzi, sconfessando l’auspicio di compattezza che aveva formulato.

Va invece garantita la sua presenza al vertice delle istituzioni per altri sette anni; anche perché il suo governo rimarrebbe esposto alla volubilità di una maggioranza politicamente troppo eterogenea per durare ancora a lungo, dopo che Sergio Mattarella, l’ispiratore di tale accordo, avrà abbandonato il Quirinale. 

Spetta ai leader più responsabili fare un passo in questa direzione. E quindi Enrico Letta dovrebbe formalizzare l’invito a nominare fin dal primo turno Mario Draghi, dimostrando all’Europa e ai mercati quanto è importante per il paese. E anche la destra dovrebbe finirla di giocare con il nome dell’ex Cavaliere e muoversi in maniera più costruttiva.

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