«Esisti ancora, Europa? Non ti trovo più, tu che sei la mia essenza, la mia fede ma anche il mio infinito sconforto; sedimento di millenni, lingue, religioni, incubi, speranze e convulsioni, dai quali è nata, come per miracolo, l'Idea. Il tuo silenzio è assordante. Ti leggo come un corpo inerte, spezzato e subalterno. Un'alleanza incapace di pensare in grande, ossessionata dalla sicurezza, crocefissa da reticolati, dimentica delle guerre che hanno lacerato la tua carne».

Ci legge come un corpo inerte, Paolo Rumiz su Repubblica del 6 marzo, e ha disperatamente ragione. La prova ne è che parole come queste – e come quelle del suo bellissimo poema Canto per Europa (Feltrinelli 1921) – non abbiano vera eco.

Nel cuore e nella mente dei più fra noi europei, in primo luogo; nei pensieri e nelle decisioni dei leader, in secondo luogo. E infine – ma spero di essere confutata – nelle discussioni degli eredi di Altiero Spinelli, sempre più remoti, afoni, invisibili al dibattito pubblico. Consiglio ogni lettore di questo giornale di seguire almeno la newsletter settimanale del Consiglio italiano del Movimento europeo, presieduta da Pier Virgilio Dastoli (che fu a lungo, fra l’altro, diretto collaboratore di Spinelli).

Vi si possono trovare sempre aggiornatissime (ma inascoltate) riflessioni critiche sullo stato delle cose europee: in particolare, ultimamente, forte è l’allarme sul pericolo di disintegrazione di questa precaria Unione – che sarebbe finalmente ora di trasformare negli Stati Uniti d’Europa. Solo Mario Draghi, e meno male, ha usato la parola “federalismo”, sia pure “pragmatico”.

Un progetto che crolla

E venga pure il pragmatismo: ma senza le idee neppure le discussioni si chiariscono, e presente e futuro restano al buio. Per idee intendo le grandi direttive, di valore e pratiche. Senza idee siamo ridotti a quel sonnambulismo che già ci precipitò in molti abissi.

Perché la storia non basta a leggere il presente e tanto meno il futuro, a meno che non si creda in mitologiche potenze (come l’imperialismo che sarebbe connaturato alla nazione russa, o la volontà di dominio unipolare che sarebbe scritto nei geni statunitensi) – che hanno comunque già deciso tutto alle nostre spalle.

E allora, ad esempio, che ne è dell’idea dell’Unione nata per svuotare dall’interno i nazionalismi, queste radici di tutte le guerre, e non per fomentarli con l’odio verso ciò che sarebbe “esistenzialmente” altro, il nemico?

Abbiamo cominciato col sentire Josep Borrell, il ministro degli Esteri europeo, che non spettava all’Europa interloquire per la pace, e che per questo compito lui si fidava della Cina e della Turchia! Pochi si sono levati a denunciare questo delirio, a gridare che invece ben avrebbe potuto impedirla, questa guerra, l’Unione europea, se una sua visione del mondo fosse esistita, incarnata in chiare intenzioni per questa parte del mondo che è la nostra, e cioè una politica estera.

Anche solo se avessimo fatto attenzione a quello che fra Ucraina e Russia sta accadendo da troppi anni, guerra compresa. Ma anche l’attenzione richiede intenzioni e direzione: e che direzione mai può uscire dalla proposta di Emmanuel Macron di un’ipotetica “comunità politica europea” che oltre all’Ue dovrebbe comprendere i Balcani, l’Europa orientale, la Turchia e perfino il Regno Unito che se ne è appena andato? Che prospettiva mai darebbe questa “comunità” nell'aiutarci a completare l’unione politica, con relative cessioni di sovranità, con un vero esercito proprio, con una vera politica internazionale, una vera unità fiscale, e soprattutto di integrare i popoli in una vera democrazia sovranazionale, che è il contrario del restaurare Stati-nazione?

L'occidente smarrito

C’è purtroppo un termine che ha perduto ogni senso, e con questo vuoto ci acceca: “occidente”. Fino alla caduta del muro di Berlino e all’implosione dell’Unione sovietica aveva un senso associato alle idee di libertà e democrazia. Ma ora?

Da un lato, proprio in funzione di libertà e democrazia e del loro sviluppo, gli interessi dell’Europa sono palesemente distinti da quelli degli Stati Uniti, che hanno due oceani a separarli dalle potenziali minacce.

Dall’altro, la pari dignità di tutte le persone e la speranza di una vita degna e autonoma a prescindere da dove il caso le ha fatte nascere non sono affatto valori “dell’occidente”: sono universali. Infine: non è forse Europa anche la Russia, che pure non è “occidente”? Non è un pezzo della nostra anima? E potrà mai guarire senza di noi, senza Europa?

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