Il centro di ricerche “Itinerari previdenziali” segnala che sul 58 per cento degli italiani grava solo il 9 per cento dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef); la larga maggioranza di noi è fruitrice netta di servizi e prestazioni pubbliche, contribuendo per circa 440 euro pro-capite al funzionamento di sanità (1900 euro a persona), istruzione e prestazioni sociali. Il totale della spesa pubblica annua a persona sfiora i 14000 euro, somma vicina all'imposta pagata solo dal 4 per cento dei cittadini.

Tali cifre, a tutta prima sconcertanti, vanno però viste in un quadro più vasto; è infatti primo compito di qualsiasi amministrazione moderna e civile fornire a tutti, senza riguardo ai livelli di reddito, alcune prestazioni e servizi di base, a partire da sanità e istruzione, assumendo che le pensioni siano in equilibrio.

Si chiama redistribuzione, odiata dai benpensanti; per metterne in pace la coscienza bastano le Dame di San Vincenzo. Pretendere che ognuno paghi per quel che utilizza è reazionario e pure irrealistico.

Il vero tema sollevato da tali dati è quello della macroscopica evasione fiscale; lo segnala lo stesso centro di ricerche, per il quale oltre l'80 per cento dell'Irpef è pagata da dipendenti e pensionati. Quelli che dichiarano redditi oltre i 300 mila euro non arrivano a 13 mila, numero che chiunque viva in Italia e conosca i livelli medi di consumo può solo definire scandaloso.

I lavoratori autonomi che presentano una dichiarazione Irpef sono poco più di 3 milioni, con redditi mediamente più alti di quelli di dipendenti e pensionati. Si stima però che il loro numero si aggiri sui 6 milioni, poco meno di 3 milioni dei quali sono quindi ignoti al fisco.

Mirabile esempio di frugalità, utile anche nella lotta al cambiamento climatico! Ovviamente tali dati non riguardano l'Imposta sul valore aggiunto (Iva), l'imposta più evasa da noi.

Evasori grandi o piccoli

Nel 2019 il vice presidente del Consiglio nel governo giallo-verde, Luigi Di Maio, criticò alcune misure anti-evasione; basta perseguitare i piccoli, diceva, il nostro problema fiscale sta nei grandi evasori, bellamente sorvolando sui fatti.

Meno male che diverse misure attuate da successivi governi, alcune proposte dal ministro delle Finanze del primo governo Prodi, Vincenzo Visco, restringono progressivamente le possibilità di evasione. Le accresce invece la progressiva consunzione dell'odiatissima, in quanto ardua da evadere, Irap.

Di Maio sbaglia a difendere l'evasione diffusa (se non ha cambiato idea anche su questo), ma ci sono anche i grandi evasori. Nel non remoto passato nostro, il cattivo esempio è venuto dall'alto, da chi del nostro capitalismo fu il più prestigioso esponente, nientemeno che Giovanni Agnelli, il re che all'Italia mancava.

Le Procure della Repubblica hanno messo in luce un suo “tesoretto” - reale questo, non virtuale come quelli che ogni tanto spuntano nei conti pubblici - di oltre un miliardo di euro, a quanto pare renitente ai vari scudi fiscali concepiti dalle volpi messe a guardia del pollaio fiscale.

La vicenda è nota, ma se ne occupano solo sporadicamente le cronache, incentrate sulla lite intentata da Margherita Agnelli, figlia di Giovanni e Marella Caracciolo, contro la madre e i figli di primo letto.

La signora aveva sì accettato di essere liquidata in un momento in cui le fortune del gruppo erano ai minimi, ma del tesoretto nulla aveva saputo; ora reclama la sua fetta della torta, anche per i figli di secondo letto. Se la sua lite appare squallida, che dire di chi le nascose il malloppo? Anche i pirati della Tortuga erano fuorilegge, ma seguivano una loro ferrea etica professionale.

Il risvolto pubblico della vicenda è invece del tutto ignorato dai prestigiosi opinionisti, forse per molti non è fine parlarne; per chi si esibì nel servo encomio, ogni critica è codardo oltraggio.

Si parla dunque della lite familiare, ma si tace sul fatto, ben più grave, che sul tesoretto avanzerebbe presumibilmente corposi diritti la Repubblica Italiana, oltre agli azionisti delle società del gruppo, dalle cui casse, sempre presumibilmente, la somma è stata fatta uscire (se rubare suona volgare, roba da piccoli commercianti).

Il capitalismo in Italia non conquista le menti (figuriamoci i cuori!) perché non riesce, e non può (presumibilmente, s'intende), condannare con fermezza, dissociandosene, tali comportamenti. Per il cinismo popolare, il pesce puzza sempre dalla testa, e cane non mangia cane; sarà volgare, ma forse è tristemente vero.

© Riproduzione riservata