Ci si accorge della religione, anzi, della libertà religiosa, solo quando immaginiamo, a torto o a ragione, che essa sia messa in pericolo. Così infatti è avvenuto di recente – forse con toni troppo enfatici e antistorici per corrispondere davvero alla reale natura della dinamica tra la Santa sede e lo stato italiano – riguardo al disegno di legge Zan, ormai in dirittura di arrivo se non altro nel confronto parlamentare; così è avvenuto ed avviene ogni qual volta, appunto, la libertà religiosa ci sembra che minacci, o che venga minacciata, da un intervento autoritativo altrui.

La ragione di ciò è molto semplice: la libertà religiosa, espressione intima del nostro credo qualunque esso sia, è storicamente il presupposto di tutte le altre libertà, come già più di un secolo fa spiegava il grande giurista Francesco Ruffini. E dunque in quanto tale essa rappresenta il nucleo del cuore identitario di noi stessi: a partire, si badi bene, da coloro che professano il credo di chi non crede. Perché? Perché la vera libertà religiosa si fonda sulla laicità come metodo aperto ed inclusivo, come sottolineato non a caso dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, quando, nell’ancorare in parlamento la risposta al segretario di stato Parolin per il tramite della sentenza n. 203 del 1989 della Corte costituzionale, ha ricordato che «la laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, ma è tutela del pluralismo e della diversità»; ribadendo così con chiarezza quale è la posizione, costituzionalmente fondata, della repubblica italiana: laicità, non laicismo.

Libertà fragile

Eppure quel multiforme gomitolo per tessere lo svolgimento delle altre libertà, la libertà religiosa appunto, sta vivendo una fase di fragilità vera, perché appare sempre più incapsulata dentro un generalizzato clima di rabbia e di attrito sociale che da anni è cresciuto anche in ragione di una doppia e profonda crisi economica di cui il fenomeno immigratorio è solo la punta dell’iceberg, cui si è aggiunta, da ultimo, la pandemia; e, del pari, perché la libertà religiosa è immersa dentro naturali processi di secolarizzazione, che tuttavia non sono stati governati con l’equilibrio consapevole che, ormai, invece, si può e si deve dispiegare in tema.

Così, stretta tra fondamentalismi, radicalizzazioni, strumentalizzazioni politiche e – ultimo e non da ultimo – terrorismi di ispirazione religiosa, la libertà religiosa rischia di essere sempre più fiaccata ed indebolita, come molti rapporti internazionali continuano a segnalare; esposta al rischio che possa essere prosciugata la sua linfa vitale, ossia quelle libertà di pensiero, di espressione, di coscienza e di credo, il cui dispiegarsi sociale – come ha dimostrato proprio in questi giorni, ancora una volta, in un attento bilanciamento sull’uso del velo nei luoghi di lavoro, la Corte di giustizia dell’Unione europea – ha invece una funzione preziosa per il radicamento dei fondamenti della democrazia e del pluralismo in una società che vuole dirsi pienamente moderna.

Pluralismo dei valori

Di fronte ai timori legati alle degenerazioni del fenomeno religioso, e della forza opposta e contraria che legittimamente e positivamente si può mettere in campo per contrastare quelle derive, si fa opportunamente carico, con cura, attenzione e lungimiranza, un recente volume curato da Gabriele Fattori, intitolato non a caso Libertà religiosa e sicurezza (Pacini Editore, 2021). Un libro sui problemi, puntuale ed interdisciplinare come è giusto che sia: ben consapevole, insomma, di quanto sia complessa oggi la sfida di costruire, tra diritto internazionale, costituzionale, amministrativo e penale (oltre che, naturalmente, ecclesiastico), politiche di sicurezza integrate e multidimensionali, a tutela appunto della libertà religiosa e dunque di quel sano pluralismo di idee e valori che la modernità democratica in sé incorpora.

Diviso in tre parti (diritto pubblico, religione e sicurezza; le esperienze italiane su religione e sicurezza; la traduzione italiana delle linee guida Osce “Libertà di religione o convinzione e sicurezza”) questo studio, come fanno autorevolmente notare nelle loro introduzioni Marco Ventura, Silvio Ferrari, Donatella Curtotti e, appunto, Gabriele Fattori, è molto prezioso anche per la (prima) traduzione in italiano delle Linee Guida Osce 2019 in tema, acclusa a questo studio corale. Infatti in quel testo si coglie quanto, ad esempio, i progetti di deradicalizzazione e di prevenzione del terrorismo di ispirazione religiosa – come in bel saggio sottolineano, nello specifico, Francesco Alicino e, più in generale, per il diritto costituzionale anche in ottica comparata, Francesca Rosa – non possano essere realmente efficaci se non si fondano su alcuni elementi ormai consolidati della tradizione democratica (come opportunamente evidenzia, nel suo saggio specificamente sull’Osce, Pasquale Annicchino). I nodi di questa nuova visione del rapporto tra sicurezza, diritto e religione – che è valso a questo volume anche il premio letterario nazionale Amerigo “delle Quattro Libertà” – sono allora tutti affrontati senza ipocrisie: facendo sì che discriminazioni, intolleranze, immigrazione, cura delle minoranze e dialogo interreligioso emergano con chiarezza nella prospettiva di una sicurezza integrata; lasciando così al fondo il lettore – tanto lo studioso quanto, in un’opportuna adozione a fini didattici, lo studente – non soltanto meglio attrezzato rispetto alla complessità che esprime la convivenza plurima di regole tra loro diverse, quanto – se non soprattutto – ben consapevole che una giusta attenzione alla sicurezza non possa essere oppressiva, prima che compressiva, del principio di eguaglianza tout court, a maggior ragione se letto attraverso la lente della libertà religiosa. A molti può apparire poco. Eppure, di questi tempi, è quasi tutto.

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