In tempi normali chi è al governo non resta ma in carica abbastanza da vedere il risultato dei propri errori. Ci vogliono mesi o anni perché sia chiaro che qualche miliardo è stato speso male o che una riforma non ha dato i risultati sperati. Nel Covid bastano poche settimane per misurare gli effetti delle decisioni. E non si misurano in qualche zero virgola di deficit in più, ma in centinaia di morti. 

Ecco, le decisioni sbagliate delle ultime settimane da parte del governo stanno producendo decine di morti, quelle incerte di questi giorni possono produrne centinaia. Spiace essere così brutali, ma non c’è un altro modo per dirlo. 

Prendiamo le previsioni del gruppo di lavoro coordinato dal professor Giuseppe De Nicolao dell’Università di Pavia, coerenti con quelle nella lettera di 100 accademici dei Lincei al capo dello Stato.

Sulla base delle rilevazioni del 23 ottobre, l’attuale ritmo di crescita dei contagi implica un tempo di raddoppio ogni dieci giorni. A metà novembre ci saranno 900.000 positivi, 50.000 ricoverati, 5,000 pazienti in terapia intensiva e 500 morti al giorno (ora siamo a 150). 

In questa crisi le decisioni vanno prese oggi guardando la situazione attesa tra due settimane, o tra un mese. Perché i dati giornalieri sono una fotografia che ci arriva con grande ritardo rispetto a quando è stata scattata.

Passa anche più di una settimana, tra quando una persona si contagia e quando, dopo aver fatto il tampone e ottenuto il risultato, entra nelle statistiche. 

Eppure il governo Conte continua a seguire lo stesso metodo: prende una decisione chiaramente insufficiente, aspetta di vedere se produce effetti, quando i numeri ne certificano il fallimento inizia a pensare alla stretta successiva, fa circolare le bozze per testare la reazione, poi adotta un nuovo provvedimento. Questo approccio non ha mai - ma proprio mai - prodotto risultati dall’inizio della pandemia. 

Il lockdown ha ridotto la velocità di contagio ma il sistema è rimasto fragile come prima: i bandi per assumere 1500 tra medici e personale sanitario, per esempio, sono partiti soltanto ieri. 

Dopo quasi un anno non ci sono più giustificazioni per l’assenza di dati, che non vengono raccolti o che vengono tenuti nascosti, per prendere decisioni che non hanno una base scientifica, per costringerci a interpretare Dpcm incomprensibili che hanno introdotto nel diritto la categoria della “raccomandazione”: fai quello che vuoi ma non dire che non ti avevamo avvertito. 

L’ossessivo ripetersi degli stessi errori ha una sola possibile spiegazione: questo governo non riesce a guardare oltre l’immediato, decide sulla base di informazioni già invecchiate, che siano i contagi o i sondaggi di popolarità. Eppure è chiamato alla doppia sfida di superare l’emergenza e programmare i prossimi decenni con un piano che si chiama, appunto, Next Generation Eu: prossima generazione. 

Se una volta gli statisti si distinguevano dai politicanti perché erano capaci di guardare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni, per la nostra sopravvivenza avremmo bisogno di qualcuno che sia in grado almeno di ragionare sul prossimo trimestre. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e molti altri al governo hanno dimostrato di non essere capaci di farlo.

La fiducia riposta in loro si sta trasformando in rabbia. Presto il governo, o almeno i partiti che lo sostengono, dovranno prenderne atto: la popolarità nei sondaggi è come il dato sui contagi, fotografa un mondo che è già finito.

© Riproduzione riservata