La barbara uccisione di Samuel Paty, l’insegnante decapitato nei sobborghi di Parigi per aver mostrato in classe delle caricature di Maometto durante una lezione sulla laicità e la libertà, ci fa ripiombare davanti al solito interrogativo: l’islam è compatibile con la democrazia liberale? Paradossalmente la risposta è già data dai terroristi stessi: l’islam è talmente compatibile con la nostra civiltà laica che alcuni fanno di tutto per arrestarne il processo, terrorizzando e uccidendo, allo scopo di far rinculare i “buoni musulmani” verso forme rigide e separate, verso la negazione della civiltà.

È la strategia della polarizzazione: scavare un fossato attorno ai musulmani per convincerli di essere accerchiati e, alla fine di un processo di estraniazione, portarli a credere che non è possibile convivere né in Occidente e nemmeno nei paesi di origine. Da decenni il vecchio conservatorismo arabo-musulmano è stato superato da tale forma rivoluzionaria e violenta di islam: un neo-prodotto religioso radicale e antagonista, che pretende di essere alla ricerca della comunità perfetta, del musulmano vero o del nuovo califfato e così via. Al di là delle diverse strategie messe in campo per raggiungere l’obiettivo e del tasso di violenza utilizzato, tutte le fazioni dell’estremismo jihadista sono in preda all’incubo settario del paradiso islamico in terra.

La battaglia si svolge principalmente all’interno del mondo musulmano in Europa e nel Medio oriente, propagandosi anche laddove l’islam è presente in Asia e Africa. Dal momento che l’islam è la seconda comunità religiosa mondiale, è ovvio che tale guerra civile islamica ci coinvolge e ci fa soffrire. Il messaggio estremista e terrorista è chiaro: separare la comunità dei prescelti per trasformarli in un esercito radicale e oltranzista, alla conquista del potere in almeno uno degli stati musulmani. Ci hanno provato seriamente con il Sudan, l’Algeria, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria eccetera; si sono illusi di averlo ottenuto con l’Iran. Malgrado il tanto sangue versato, finora tutti i tentativi sono andati a vuoto. L’Iran non fa eccezione: gli iraniani sono certamente una teocrazia islamica autoritaria ma restano concentrati sul proprio interesse nazionale. Il loro sciismo è proselitistico fino ad un certo punto: alla fine vince sempre il pragmatismo persiano, erede di una storia millenaria e preislamica. Anche le organizzazioni sciite più intransigenti, come Hezbollah libanese o gli sciiti iracheni, sono consapevoli di combattere essenzialmente per uno Stato.

Molto più pericolosi sono i movimenti sunniti estremisti, salafiti o di emanazione Fratelli musulmani: coloro che predicano una forma di “rivoluzione islamica permanente” e senza confini (mentre a Teheran vige la formula “rivoluzione islamica in un paese solo”). Tale galassia di movimenti e sigle, è nemica degli Stati occidentali come di quelli arabi ritenuti apostati; attacca i civili senza distinzione; è pronta a fanatizzare i suoi adepti rendendoli kamikaze; non rispetta nessuna autorità religiosa islamica; odia la tradizione e manipola la modernità ai propri scopi. Costoro hanno trasformato l’islam in un’ideologia settaria e fanatica, facilmente utilizzabile ovunque come grammatica della rivolta. L’Arabia Saudita, custode dei luoghi santi dell’islam (Mecca e Medina), ha cercato di reagire a tale sfida manipolando tale tendenza per poi rendersi conto della sua impermeabile pericolosità. Riad ha rischiato di trovarsi intrappolata ed impotente come un apprendista stregone che non controlla più nulla, vedi il caso di Ben Laden. Rinsavita, ora si appresta all’accordo con Israele…

In vari modi i jihadisti hanno cercato e cercano di coinvolgere l’Occidente nella loro guerra: terrorizzano con violenza puntando su una nostra reazione scomposta; creano ghetti senza diritti manipolando le norme della libertà religiosa; si infiltrano all’interno delle comunità musulmane europee; convertono giovani occidentali insicuri e sfiduciati per farne dei soldati di Allah. L’Occidente ha reagito in maniera diversa a tale crisi. In alcuni casi si è cercato di mantenere le distanze, offrendo alle comunità musulmane immigrate spazi propri ma senza mescolarsi. Ognuno è rimasto nel suo ambiente. In altri casi ci si è sforzati di imporre regole comuni in nome dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Tra questi due estremi ci sono innumerevoli gradazioni di stile e di condotta. In Francia la battaglia è stata molto accesa e quasi tutta concentrata attorno alla scuola. La polemica sul velo islamico è iniziata in classe nel 1989 e terminata con il divieto di mostrare segni religiosi del 2004. I gruppi radicali continuano ad invocare le leggi sulla libertà religiosa per imporre le loro norme islamiche. Le banlieues isolate e povere si sono trasformate in incubatori di estremisti. Lo Stato e l’amministrazione francesi sono stati al centro di innumerevoli contese, alla ricerca della formula magica che sciolga il contrasto laicità-religione.

Noi italiani scorgiamo nella tattica estremista la medesima strategia delle mafie: una combinazione di violenza, intimidazione, entrismo, vittimismo, ghettizzazione, manipolazione e strumentalizzazione dei giovani. Sappiamo che tale malapianta quando si radica diviene difficile da estirpare: le mafie non si vincono soltanto riaffermando i principi della democrazia e della convivenza, poiché esse si nutrono delle contraddizioni e delle aporie della vita civile stessa, delle sue mancanze, marginalizzazioni ed errori. Anche i jihadisti fanno leva sulle carenze delle società europee, sul razzismo, sui pregiudizi, sulla predicazione dell’odio oppure sul vuoto di senso e sui problemi socio-economici. Ma noi italiani sappiamo anche che, come con le mafie, è dall’interno del loro mondo che gli estremisti si combattono e si possono vincere. Ciò che davvero serve all’Occidente sono degli alleati dentro l’islam: non finti partner addomesticati ma autentici musulmani che siano anche democratici. Non si tratta di moderazione ma di convivenza civile.

Il documento sulla Fratellanza umana firmato da papa Francesco e dal grande Imam di al Azhar va in questa direzione e il suo testo è molto innovatore. Va letto e meditato. Dopodiché ogni cittadino europeo può provare a fare lo stesso nel suo caseggiato, nel suo quartiere e nella sua città: affermare con la vita e l’esperienza dell’incontro che la convivenza è possibile, respingendo ogni violenza (compresa ogni sua possibile giustificazione). Non si tratta di buonismo ma di sopravvivenza della civiltà: i jihadisti aspettano solo che ci trasformiamo tutti in cattivisti facendo il loro gioco. Se c’è qualcosa che contraddistingue la democrazia è invece la possibilità data a tutti di convivere anche in un mondo dove la tentazione dei muri aumenta. È certamente un impegno gravoso ma vitale.

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