Il dibattito – possiamo dire, la chiacchiera – intorno ai lavoretti estivi fatti da ragazzi o alla mancanza di personale stagionale (anche quello ovviamente composto da under 25 se non under 18) è diventato subito un giochino.

L’aneddotica, il caso singolo, la dichiarazione dell’albergatore se non dell’imprenditore che ha cominciato da cameriere e adesso possiede una catena di hotel e una mezza dozzina di yacht, è ormai un genere a sé che serve a raccontare la crisi più grande che c’è in Italia in termini folkloristici.

La crisi più grande che c’è in Italia è quella che mette insieme il mondo della scuola con quello del lavoro. Dentro questa crisi ci sono tutte le altre: i salari bassissimi, la dispersione scolastica, la fuga dei cervelli, la perdita della cultura del lavoro, l’impoverimento della cultura della produzione…

E così si è passati dal mandare in cavalleria la discussione su una riforma seria dell’alternanza scuola lavoro dopo la morte di due ragazzi alla geremiade diffusa per cui questi ragazzi viziati ormai non sanno cos’è la fatica e i locali faticano a trovare chi gli fa dei turni di 14 ore in luglio e agosto.

Quello che questo genere di chiacchiera offusca sono i dati allarmanti sulla condizione socio-economica dei ragazzi in Italia, e su come questo legame tra formazione e lavoro sia il nodo dolente di qualsiasi politica governativa da decenni.

Un recente documento del ministero dell’Economia, redatto in tempi di Pnrr, e intitolato come un pezzo di Elio e le storie tese, La condizione dei giovani in Italia e il potenziale contributo del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza per migliorarla, lo dice chiaramente: «Rispetto al passato, i giovani affrontano in Italia numerose difficoltà per rendersi economicamente autonomi, raggiungere la piena maturità sociale e condizioni di vita soddisfacenti.  Considerando l’indice globale dello sviluppo giovanile l’Italia si attesta su un punteggio pari a 0.816 collocandosi nella classifica mondiale al 23° posto (tra i paesi dell’Europa a 28 al 16° posto), con una performance più critica nei domini dell’istruzione (36° posto) e dell’occupazione (46° posto), fino ad arrivare ad una partecipazione politica e civica minima (125° posto)». Ossia: il disastro.

Ma poi continua con una serie di eufemismi: «Rispetto all’occupazione, i giovani sperimentano opportunità di inserimento eterogenee per gruppo professionale e settore economico».

Di fatto, eterogenee vuol dire squalificato o poco qualificato. Confindustria lo ripete spesso come una messa feriale: nei settori chiave del made in Italy avremo carenza di personale.

I settori chiave sono: i bar. Purtroppo i curricula dei ragazzi sono scollegati dalle richieste delle imprese. Ossia non a tutti gli va di fare i camerieri e i receptionist, orate pro nobis.

Già, perché, sempre nel report del Mef, si legge che le percentuali più elevate di under 30 richieste dalle aziende nelle attività commerciali e nei servizi, soprattutto per lavori da acconciatori, da baristi e professioni assimilate, commessi e camerieri.

Un’altra indagine di Unioncamere recente ci spiega di che lavori stiamo parlando: Commessi delle vendite al minuto, Camerieri e professioni assimilate, Cuochi in alberghi e ristoranti, Baristi e professioni assimilate, Addetti all'assistenza personale, Addetti alla preparazione, alla cottura e alla distribuzione di cibi, Acconciatori, Bagnini e professioni assimilate, Addetti alla sorveglianza…

È così, i commenti sui social sui lavoretti che facevamo in estate dopo la maturità sempre di meno saranno ammantati da un effetto nostalgia. Si tratta, in fin dei conti, del piano economico futuro del paese.

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