Per quasi due anni, a singhiozzo, i taxi sono rimasti fermi a causa della pandemia, hanno avuto i loro sussidi dallo stato, non hanno potuto contare su turismo e normale mobilità. Eppure, da settimane, con le città piene di turisti, non fanno che scioperare. Beati loro, verrebbe da dire, perché è evidente che possono concedersi il lusso di farlo. Un lusso curioso, visto che dichiarano al fisco poco più di mille euro al mese (non sono obbligati ad emettere ricevuta fiscale e pagano le tasse in base a studi di settore) e comprano licenze che ne costano 180mila.

Le motivazioni

Con lo sciopero (l’ultimo è del 5 e 6 luglio) i tassisti intendono opporsi a quell’articolo 10 che riguarda «l’adeguamento dell’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti». La solita storia: i tassisti presidiano il loro fortino, non vogliono concorrenza, Uber è il male e così via.

Naturalmente ammantano la loro arroganza di nobili ragioni: «È una risposta a chi pensa di svendere la funzione di servizio pubblico che svolgiamo», «ci batteremo fino all’ultimo respiro contro i parassiti che vorrebbero sottrarci il frutto della nostra fatica». «È la lotta di 40mila lavoratori contro la speculazione finanziaria», dicono. Commovente. Soprattutto quando parlano di servizio pubblico. Chissà se è servizio pubblico lasciare persone a piedi di notte, con la pioggia, perché senza contanti. Lasciare i turisti in fila all’aeroporto se non hanno i cento euro nel portafogli (ora ci sono le sanzioni, vedremo quanto funzioneranno).

Se questo è servizio pubblico

Chissà se è servizio pubblico non accettare determinate corse dagli aeroporti perché non sono vantaggiose o farle pagare cifre irragionevoli. Chissà se è normale alzare le corse fisse da e per gli aeroporti, lamentarsi delle commissioni alle banche come fossero l’unica categoria in Italia a pagarle. Chissà se è normale che non ci siano taxi a sufficienza nei weekend di sole o accompagnare i clienti al bancomat, urlando che devono prelevare perché loro non regalano soldi alle banche.

Chissà se è normale che in questi giorni alcuni tassisti in sciopero aggrediscano i colleghi che vogliono lavorare, li costringano a lasciare i clienti a un isolato dalle stazioni per non farsi vedere dai colleghi furiosi. Ad alcuni, per ritorsione, sono state staccate le targhe, ad altri gli specchietti, con tanto di minacce. Di sicuro non è normale che fino ad oggi il governo abbia sempre piegato il capo agendo per il vantaggio dei tassisti anziché per il bene dei cittadini. Mi aspetto che Draghi – uno che ha l’aria di decidere lui il prezzo della corsa – non si lasci intimorire da scioperi, cori e striscioni. È ora di aprire il mercato e chiudere definitivamente lo sportello dei taxi che si spacciano per servizio pubblico, ben attenti a tutelare solo il privato.

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