La reazione del ministro dell’Interno francese Gerald Darmanin sull’immigrazione appare sproporzionata, e per certi versi lo è, ma in questo caso appare più utile cercare di capire il motivo di questa tensione che farsi prendere dalla contesa momentanea.

Da anni il rapporto italo-francese vive di alti e bassi, in alcuni momenti le linee politiche ed economiche dei due paesi s’incrociano sui tavoli europei, in altri prevalgono la competizione geopolitica e le reciproche ritrosie all’integrarsi ulteriormente sul piano economico e finanziario.

La tensione nella relazione tra i due paesi è cresciuta dopo le elezioni politiche italiane che hanno sancito l’affermazione della Meloni e la nascita di un governo di destra.

Il benvenuto delle istituzioni francesi verso il nuovo premier è stato freddo e per molti versi paternalistico, con la promessa del primo ministro francese di vigilare sul rispetto dei diritti civili in Italia. Un disagio proseguito con l’incontro informale e di malavoglia con Meloni, appena arrivata a Palazzo Chigi, avuto dal presidente Macron nella sua ultima visita a Roma.

Il meeting

Un meeting molto criticato dalla sinistra francese e da una parte dello stesso partito di Macron, che hanno decrittato l’incontro come una sorta di legittimazione della destra italiana da parte dell’Eliseo. Non va dimenticato che nel dibattito pubblico francese Giorgia Meloni è accomunata alla Le Pen e all’estrema destra, dialogare pacificamente con il nuovo governo italiano significa ammettere che con quella destra si può collaborare.

Macron, dopo l’incontro, ha tenuto a precisare l’importanza del rapporto tra i due Stati più che tra leader di colori politici diversi, ma evidentemente non è bastato a placare le polemiche oltralpe. La decisione del governo italiano di rendere difficile lo sbarco dei migranti della Humanity prima, come strumento di pressione sugli altri paesi europei, e di rifiutare lo sbarco alla Ocean Viking poi, infine accolta dal governo francese per decisione di Darmanin stesso, ha aperto la prima crisi internazionale del nuovo esecutivo italiano.

Meloni e i suoi ministri hanno rivendicato come un successo l’indirizzamento della Ocean Viking verso Tolone, evento che ha messo in difficoltà il governo francese che ha infatti recepito come una sconfitta l’accoglienza dei migranti al posto dell’Italia. Da qui le accuse e le tensioni con il nostro paese degli ultimi due giorni. Sul piano formale Darmanin ha delle ragioni: le regole siglate in sede europea prevedono un’accoglienza obbligatoria da parte del paese di primo approdo (quindi italiano), e poi un meccanismo di redistribuzione volontaria tra i 23 paesi che hanno sottoscritto gli accordi.

Il problema è che fino ad oggi il meccanismo di redistribuzione dei migranti sul piano numerico non funziona come dovrebbe, proprio perché volontario e non obbligatorio.

Il risultato è che l’Italia resta spesso non soltanto il luogo di sbarco, ma anche quello di permanenza dei migranti, almeno fino all’accettazione della richiesta d’asilo di un altro paese. Le posizioni del governo francese e italiano, pur configgenti, segnalano in realtà la stessa volontà: la necessità di controllare e limitare i flussi migratori. Gli italiani chiudono i porti, i francesi schierano l’esercito alle frontiere. Anche il silenzio degli altri governi europei sul punto è eloquente. Tuttavia, l’Italia è in una posizione equivoca, scomoda e strategica allo stesso tempo. Scomoda perché senza risorse, mezzi e un accordo europeo per l’Italia da sola sarà molto difficile fronteggiare e gestire una ondata migratoria che potrebbe tornare a crescere nei prossimi mezzi.

Il paese di transito

Dall’altra parte, il nostro paese gode di una posizione strategica in quanto frontiera esterna meridionale della stessa Unione Europea. E ciò significa che se gli altri paesi europei vogliono governare i flussi devono pur sempre trovare un accordo con l’Italia, al fine di evitare una crisi umanitaria.

Senza dimenticare che l’Italia è per lo più un paese di transito, i migranti vanno per gran parte altrove in Europa dopo esser sbarcati nel nostro paese. Tutti hanno interesse che la prima frontiera funzioni. Per questi motivi troppe sceneggiate politiche e mediatiche sul salvataggio dei migranti rischiano di essere dannose per il governo in quanto possono produrre un isolamento dell’Italia a livello europeo, senza guadagnare sostanzioso nulla sul piano della gestione condivisa degli sbarchi. I porti chiusi non pagano. Anzi Meloni rischia di diventare agli occhi degli altri paesi europei, e dei francesi in primis, alla stregua di Matteo Salvini, cioè di un politico italiano con cui non è possibile né il dialogo né la mediazione.

Non siamo ancora al punto di rottura: Macron per ora lascia parlare i suoi ministri, prevalentemente ad uso politico interno, invece di intervenire direttamente sulla questione. Lo stesso fa Giorgia Meloni. Uno scontro ai massimi livelli dei due Stati aprirebbe una crisi grave, difficile da gestire per il nuovo governo italiano in sede europea.

Alla presidente del Consiglio conviene gettare acqua sul fuoco, spegnere l’incendio innescato da Piantedosi e Salvini, cercare di migliorare accordi e missioni europee. Ne sarà capace?

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