Dare lavoro significa dare dignità. Ma il lavoro non è tutto uguale né sempre la stessa cosa. Dopo la crisi sanitaria, la pandemia ci metterà presto davanti alla crisi del lavoro che (ancora una volta) diminuisce e cambia. Ciò ha conseguenze sociali, cioè sulla vita quotidiana di tutti.

Soli nella globalizzazione

Nella società liquida della globalizzazione dove trionfa la solitudine, il lavoro rimaneva un punto di aggregazione: un luogo di socialità e di arricchimento umano. Come la scuola per i giovani.

Con il Covid la scuola non c’è più e il lavoro diventa smart, cioè a distanza. Spiace dirlo ma non va bene e non rappresenta un progresso perché renderà la società ancora più atomizzata e la gente più sola. Il lavoro non è solo un’attività economica: è un’impronta che dà senso alla vita.

Il senso della vita

Negli ultimi cinquant’anni abbiamo assistito in occidente alla fine di una società ordinata secondo priorità di senso in cui venivano meno «pilastri solidi di significato», come scrive Anne Case in Morti per disperazione: sempre meno laureati; meno stabilità di luogo di vita; meno vicinato (cioè relazioni); meno partecipazione alla vita religiosa e così via.

Tutti vincoli spezzati tra cui anche l’attaccamento al lavoro (inclusa la sindacalizzazione): forme di legame quasi affettivo con il proprio lavoro (radicato ovviamente nella sicurezza di posto e salario).

Negli ultimi decenni tale legame si è spezzato nel part-time, nei lavori precari e dequalificati. A questo ci ha portato il cambiamento della struttura economica e del mercato del lavoro. Ci sono sempre meno lavori nella produzione (che danno più identificazione e ruolo sociale) e sempre più lavori nei servizi con meno significato (salvo la fascia alta).

Negli anni Ottanta si diceva che il settore dei servizi rappresentava la modernità, dileggiando i sindacati che si opponevano. Ma la diffidenza per tali ambiguità era ampiamente giustificata: si è trattato di un generale downgrading della qualità del lavoro.

Un nuovo declassamento

Oggi bisogna stare attenti quando si dice che lo smart working è il futuro: può trattarsi di un nuovo declassamento con conseguente perdita di tessuto collettivo. Lavorare soli da casa non aiuta a relazionarsi né aumenta la qualità della vita. Per questo aumentano i suicidi: gente sola che perde l’ultimo appiglio del lavorare con altri.

Allo stesso modo va valutata l’importanza cruciale della scuola e dell’università in presenza. Già prima del Covid l’Italia era penultima in Europa per iscrizioni universitarie: uno scandalo da riparare.

Previsioni mancate

C’è da aggiungere che si può contestare anche il mito della società basata sullo studio dei Big data. Non sono riusciti a prevedere nulla dei cambiamenti economici in atto (sarebbe alla loro portata) e ancor meno riescono a spiegare ciò che accade dentro le società (davvero fuori portata). Il motivo è semplice.

Quasi sempre comprare (soprattutto online) è un surrogato di tanto legame sociale che si scioglie. Di conseguenza occorre trasformare ogni attività in un lavoro dignitoso e riconosciuto: valore per gli individui e per la comunità.

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