Dove vanno i liberali italiani? Si sta saldando da noi un’alleanza anomala. Nel centro-destra i sovranisti (Salvini e Meloni) sono largamente maggioritari e si rifanno esplicitamente alla «democrazia illiberale»: se la legge elettorale rimarrà immutata, alle prossime elezioni queste forze si presenteranno compatte. A loro si contrappone uno schieramento di centro-sinistra guidato dal Pd di Enrico Letta e che trova un alleato imprescindibile, piaccia o meno, nei Cinque stelle capeggiati da Gisueppe Conte (di nuovo, se la legge elettorale come sembra rimarrà tale).

Nonostante qualche scivolone, il Movimento si colloca ormai in modo stabile nello schieramento europeista e con Conte si è dotato di una nuova carta dei valori chiaramente di centro-sinistra. Fra una destra sovranista e illiberale e un centro-sinistra allargato ed europeista, i liberal-democratici (che peraltro in gran parte vengono dal centro-sinistra) non dovrebbero avere dubbi.

Eppure oggi molti di loro ostentano equidistanza fra i due blocchi, o addirittura preferiscono, se non la Meloni, almeno Salvini e Forza Italia: e non soltanto ai Cinque stelle; spesso anche al Partito democratico.

Guardate le amministrative

Ettore Ferrari/LaPresse/POOL Ansa

La mappa delle amministrative è rivelatrice. E non soltanto nei posti in cui PD e Cinquestelle si presentano insieme. A Roma, Carlo Calenda non ha voluto allearsi con il Pd, rifiutandosi di partecipare alle primarie, nemmeno dopo che i democratici avevano rotto con i Cinque stelle, come lui chiedeva.

A Torino, dove pure il Pd si è presentato con una piattaforma alternativa al Movimento, importanti esponenti di Italia Viva e di Azione hanno scelto di fare una lista di sostegno al centro-destra. Un po’ in tutto il Mezzogiorno, c’è una simbiosi in atto fra Italia Viva e le vecchie classi dirigenti del centro-destra (ah, il rottamatore!).

Che cosa sta succedendo? Sarebbe fin troppo facile ricordare che nel nostro passato abbiamo già visto qualcosa di simile, ovviamente in un contesto diverso. Giusto un secolo fa, l’Italia imboccava la strada della dittatura fascista anche grazie all’accondiscendenza della storica classe dirigente liberale, che sottovalutò Benito Mussolini e preferì i fascisti ai popolari e ai socialisti: se ne sarebbe pentita presto, ma da quel madornale errore di valutazione non si riprese mai più. Da notare poi che il fascismo italiano fece da apripista a tutte le altre dittature di estrema destra in Europa (con la sola, singolare eccezione dell’Ungheria, che ci precedette.

Il fascino illiberale 

La nuova destra oggi in Europa ha in mente qualcosa di diverso dal fascismo (benché faccia fatica a condannare quel regime). Ha in mente la «democrazia illiberale»: in cui rimangono le parvenze di un sistema democratico, ma le libertà civili e politiche sono inesorabilmente compromesse, dato che l’informazione e la giustizia, così come in generale gli altri organismi indipendenti, vengono sottomessi alla volontà del governo, e dato che chi si oppone al regime subisce pressioni e ritorsioni e nei casi più gravi rischia anche la vita.

Nella democrazia illiberale i diritti civili, dalla libertà delle donne a quella delle persone Lgbt, ma più in generale i diritti dell’uomo sono costantemente sotto attacco e gravemente violati. Tutto questo è già una realtà, non solo in Russia e in Bielorussia ma all’interno della nostra Unione, basti guardare a quello che sta facendo la destra al potere in Ungheria e in Polonia (ed è soprattutto grazie all’Unione Europea se non si è raggiunto lì il punto di non ritorno e la società civile ha ancora una speranza).

Più in generale, dovremmo essere tutti consapevoli che le conquiste in termini di diritti civili e sociali non sono mai garantite per sempre. L’Afghanistan ce lo ricorda bene, in questi giorni, ma non dovremmo dimenticare che in questi anni anche in Europa orientale vi è stata, con gradazioni certo ben diverse, una perdita di diritti fondamentali che ritenevamo acquisiti.

Salvini e Meloni hanno dichiarato più volte di avere come modello Orbán (e pure Putin, e Trump). E in Europa hanno sempre difeso i governi ungherese e polacco, persino quando andavano contro gli interessi dell’Italia (come sul Recovery). Perché mai dovremmo sottovalutarli, o non prenderli sul serio?

Eppure, certi nostri liberali preferiscono correre questo rischio: a volte solo per rancori personali o miopi tatticismi; o perché, più semplicemente, preferiscono le loro politiche a quelle di una sinistra socialdemocratica e ambientalista.

È una scelta suicida, innanzitutto per l’Italia; oltre che contraddittoria per loro. Il destino dell’Italia in questi anni Venti non è affatto già scritto. Ma se prenderà la strada peggiore, sarà innanzitutto per la cecità e l’incoerenza di molti che si definiscono liberali.

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