Candidata alla presidenza, così si presenta agli elettori lombardi Letizia Brichetto Arnaboldi maritata Moratti: “Concreta, dinamica, tenace” scrive sul suo Pullman. Ex presidente Rai, ex ministra per Istruzione, Università e Ricerca con Berlusconi, poi Sindaca di Milano, si vuol rifare l'immagine; non politica, ma abile manager fra pubblico e privato.

Dobbiamo il suo ritorno in politica a Intesa SanPaolo che, avendo comprato Ubi, le ha tolto la presidenza della banca. Certa di aver diritto a incarichi di prestigio, prima torna alla destra da vice presidente della Lombardia. poi si sposta al centro perché la sua coalizione non l'ha voluta né al governo, né candidata in Lombardia.

Il suo giro non è quello della premier Giorgia Meloni. Sarà dura per lei sbiancare il passato e l'immagine di chi è a suo agio solo nella  Ztl; le servono i voti anche delle valli orobiche.

Le nuocerà la condanna, fin qui non emersa nella campagna e inflitta dalla Corte dei Conti, a risarcire il Comune di Milano per un milione di euro; con altri imputati ha causato un danno erariale, per colpa grave, ingaggiando consulenti per la comunicazione privi dei requisiti. Il rigetto dei ricorsi alla Cassazione (Sezioni Unite, Dicembre 2018) rende definitiva la condanna.

Sindaca di Milano dal 2006, Moratti ha fallito la rielezione nel 2011 per la campagna, efficace e misurata, di Giuliano Pisapia.

Non l'aiutò accusarlo di aver subìto, quando militava nella sinistra extraparlamentare, una condanna per furto d'un “veicolo che sarebbe servito per un furto e un pestaggio”.

Moratti era l'ultima a parlare e Pisapia, indignato, non potè rispondere al momento, ma dimostrò facilmente la falsità dell'accusa.

La condanna

A esser condannata in via definitiva, per danni inflitti al suo Comune, è stata invece lei. Non è certo un buon viatico nella campagna da presidente (la carica di “governatore” non esiste) della Lombardia, contrapposta all'uscente Attilio Fontana per la destra, e a Pierfrancesco Majorino, assessore con Pisapia alle Politiche sociali, ora europarlamentare di Socialisti&Democratici.

Contro Fontana giocherà l'aver dato retta all'industria, che voleva far marciare comunque gli impianti allo scoppio del Covid, e la triste sfilata dei camion militari a Bergamo; a scusante invocherà l'imprevista ampiezza e gravità della pandemia.

Non ha invece scuse nel balbettìo sulla fornitura dei camici da parte del cognato, con annesso uso del conto elvetico ereditato dalla madre.

Contro di lui sta soprattutto una politica sanitaria che privilegia il privato a danno del pubblico. Voluta da Lega e Forza Italia, gestita per diciott'anni da Roberto Formigoni presidente, è la linea sempre appoggiata da Moratti, che cerca ora, tre lustri dopo, di distanziarsi.

La sanità privata lombarda è ingrassata dai soldi pubblici, negati invece ai magri presidi di base. Tre anni fa il leghista Giancarlo Giorgetti, che nel governo Meloni giganteggia per difetto di concorrenti, disse: “Chi va più dal medico di base...quelli che hanno meno di 50 anni vanno su Internet...è finita anche quella roba lì”; che ora va rimessa insieme e di corsa.

A condannare Fontana, Moratti e la destra tutta è il deterioramento della sanità lombarda, visibile a occhio nudo anche in centri che davvero furono “d'eccellenza” e ora vanno al degrado anche fisico.

Ciò dovrebbe favorire Majorino, ma sapranno gli elettori bocciare l'ex coppia di vertice, ora solo divisa dalla contesa sulle spoglie della sanità lombarda?

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