Scrivevano nel loro confino di Ventotene Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli che il male dell’Europa era il nazionalismo e che dall’esaltazione parossistica di questo sentimento nascono le guerre.

Se si voleva estirpare il conflitto armato dal cuore dell’Europa bisognava togliere ossigeno al nazionalismo: creare un sistema di relazioni pacifiche e virtuose tra i paesi al punto da mettere in comune il maggior numero di poteri.

Vale a dire, costituire una federazione europea per assicurare alle generazioni future la pace. L’Europa non ha mai goduto per tanto tempo di pace da quando nel 1950 la Francia tese la mano alla Germania, paese invasore e criminale, per costruire un edificio politico-economico comune, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (Ceca).

Alla radice dell’Unione europea odierna c’è quindi l’idea, la speranza, di pace. Da perseguirsi attraverso l’integrazione economica e rafforzando le istituzioni democratiche.

L’Europa a sei del 1957, e poi quella a nove del 1973, non rappresentava solo un gigante economico-commerciale ma un faro di libertà e democrazia. E quindi la prospettiva dell’accesso all’Unione fungeva da traino ,e rete di protezione, per le nuove democrazie che si liberavano dai regimi autoritari.

Quando Grecia, Portogallo e Spagna tra 1974 e 1976  abbattono le rispettive dittature ed entrano nella comunità europea, rafforzano il loro sistema democratico. L’allargamento diventa quindi anche uno strumento politico, una policy della embrionale politica estera dell’Unione.

Il problema si è posto con ben maggiore criticità dopo il 1989, quando i paesi dell’ex blocco sovietico hanno ritrovato la libertà e, ancor di più, dopo il 1991, all’indomani della disgregazione dell’Urss.

L’Europa occidentale si è sentita in colpa nei loro confronti per averli lasciati per più di quarant’anni sotto il giogo sovietico.  Per questo sono partiti subito vari progetti di assistenza economica, mentre l’ipotesi di un loro accesso all’Ue era rimandata a un futuro lontano sia per la grande divaricazione con le economie occidentali che per la affidabilità democratica di quei nuovi regimi. 

Al definire di definire meglio le condizioni per l’ingresso nell’Unione vennero varati i criteri di Copenhagen che aggiungevano ai requisiti economici quelli politici, ovvero istituzioni democratiche, stato di diritto, diritti umani e  rispetto e  protezione delle minoranze. 

Nel dibattito che imperversava in quagli anni tra l’”approfondimento”, per avere istituzioni comunitarie più coese, e l’“allargamento”, per rispondere alle richieste dei paesi dell’Europa centro-orientale, poi calò il dramma jugoslavo. E allora la narrazione che venne adottata da tutti i leader europei per convincere le proprie opinioni pubbliche della necessità di estendere l’Ue a Est fu quella della sicurezza.

Solo integrando nell’Unione quei paesi si poteva evitare che le tensioni etniche che percorrono tutta quell’area si riproducano moltiplicando esponenzialmente i conflitti visti in Jugoslavia e destabilizzando tutta l’ Europa. 

L’allargamento ad Est è stata una politica estera di successo: in quell’area le tensioni etniche sono praticamente scomparse.

Ma non ha avuto lo stesso effetto positivo sull’assetto democratico di alcuni paesi. Polonia e Ungheria non rispettano più i principi fondanti  dell’Unione.

Non possiamo dimenticare le loro posture autoritarie solo perché sono vicini al teatro di crisi ucraino e ne accolgono i profughi. Se l’Ue ha una forza di attrazione è perché è uno spazio di libertà.

Chi la mina al suo interno non può rimanervi, pena il crollo etico-politico dell’Unione. Anche perché solo istituzioni democratiche garantiscono la pace.

Su questo non vanno fatti sconti nemmeno all'Ucraina, il cui pedigree democratico è ancora lontano dagli standard occidentali come attestano tutte le analisi di istituti indipendenti a incominciare dalle Freedom House.

La solidarietà all’aggredito non include un colpo di spugna sulle sue carenze istituzionali;  ed ogni ipotesi di adesione deve passare da un vaglio attento delle condizioni minime. Altrimenti l’Unione perde la sua anima.

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