Le elezioni amministrative sono un test da prendersi con le proverbiali molle perché riflettono realtà non facilmente generalizzabili. Tuttavia sono vissute dai partiti come un segno di quel che potrebbe o dovrebbe accadere alle prossime elezioni politiche. 

Alcune reazione emotive a caldo sembrano confermare questa lettura.  Per esempio, sia Matteo Salvini (che ha buone ragioni di temere un declino) che Giuseppe Conte (la cui leadership dei Cinque stelle ha avuto un battesimo infelce) minacciano un’uscita dal governo o alzano i toni della polemica; ma lo fanno per giustificare il fatto di non poter uscire da questa anomala coalizione. 

Le reazioni suscitate li sconfessano, come quelle del ministro Luigi Di Maio. C’è da scommettere che anche in casa Lega gli umori non siano dei migliori.  

E che succede al centro-sinistra, dove il  Partito democratico incassa un’avanzata che lo rende primo in Italia? Qui gli umori sono non meno agitati, anche se per ragioni diverse.

Qui si sta sperimentando uno scenario di nuove alleanze elettorali che non assomiglia più al campo largo che, fino a poche settimane fa, doveva includere i Cinque stelle insieme alle sigle di sinistra.

Il caso Piacenza mostra questa verve sperimentale: una candidata sindaca del Pd che raccoglie simboli di sinistra (Coraggiosa e Articolo 1) insieme a una lista civica di centro-destra e ad Azione; sulla sponda opposta i grillini in una coalizione civica di sinistra con diversi scontenti del Pd. 

In previsione del secondo turno, il Pd sembra non disdegnare i voti di una lista liberale, preferiti a quelli della lista civica di sinistra. 

Una veloce lettura dell’esperienza francese deve aver fatto scuola sulle rive del Po in secca: allargarsi verso il centro e tenersi alla larga dalla sinistra.  La quale non ha nulla a che fare con quella di Jean-Luc Mélanchon e della sua astuta coalizione, ma è un insieme di cittadini scontenti e volonterosi che sentono di non avere una rappresentanza amica e denunciano una frattura tra solotti buoni e periferie. 

 A tale sinistra civica viene dato l’aggettivo di “estrema” come a volerne giustificare l’esclusione.

A questo esperimento partecipano i due leader che hanno fatto la loro fortuna politica con i voti del Pd. Carlo Calenda e Matteo Renzi sono stati prodighi di consigli in queste ore, per dire quanto ci guadagnerebbe il Pd ad allearsi con loro invece che con gli “estremisti”.  

Difficile dire se da questo abbraccio con i due personalisti leader il Pd abbia di che guadagnare. E’ il Pd sicuro che i loro piccoli numeri si traducano in grandi numeri? Che dare un salvagente a leader che in un Parlamento dei 600 avrebbero da soli poche possibilità di entrare sia una buona idea?

Che bollando come “estrema sinistra” un mondo largo di astenuti cronici per insoddisfazione verso una classe politica troppo miope sia una buona idea?

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