Una classe dirigente parlamentare e politica la si costruisce con il tempo e con l’esperienza maturata sul campo nel tempo. La si può distruggere in qualsiasi momento con il rigido ricorso ad un criterio burocratico. Due mandati e siete fuori, per sempre. Il criterio burocratico porta con sé anche altri inconvenienti. Primo, consente all’eletto che viene escluso di non dovere rendere conto ai suoi elettori di quello che ha fatto, non fatto, fatto male. Secondo, impedisce agli elettori di valutare l’operato del parlamentare, premiandolo con la rielezione, ma anche avendo il piacere di bocciarlo. Terzo, priva il sistema politico tutto di personalità, non necessariamente straordinarie, ma buoni parlamentari in grado di rappresentare efficacemente l’elettorato, che hanno imparato a controllare l’operato del governo, che sarebbero capaci di diventare essi stessi governanti. 

Quando i pentastellati si imposero il limite invalicabile dei due mandati è molto improbabile che nessuno degli inconvenienti sopra rilevati sia stato neppure lontanamente preso in considerazione. Dominante era la sfida populista alla classe politica, che peraltro solleticava molti commentatori politici. Adesso, come spesso capita a chi non conosce il funzionamento dei sistemi politici, tutti i nodi vengono al pettine. Più precisamente sono arrivati al pettine di Conte se toccherà a lui proporre una/la soluzione.

Facendo rispettare il limite di due mandati, tutta la classe dirigente parlamentare del Movimento Cinque stelle dovrebbe tornare a casa. Coloro che entreranno nel prossimo parlamento, nettamente meno numerosi, dovrebbero, salvo improbabili eccezioni, cominciare da capo il non facile processo di apprendimento. Dunque, anche il prossimo parlamento ne risentirebbe sul suo funzionamento per di più in buona misura già imprevedibile dopo la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari.

Salvare tutti coloro che hanno fatto due mandati significherebbe anche precludersi qualsiasi, se non minimo, ricambio, bloccando la sempre auspicabile circolazione delle élite non potendo avvalersi di qualche energia nuova promettente. 
Ė sperabile che fra i consiglieri di Conte in una materia tanto delicata vi sia chi sappia elaborare qualche criterio non controverso per la valutazione di coloro che non sono stati soltanto parlamentari, ma anche sottosegretari e ministri.

Valutare i parlamentari

La valutazione dell’operato politico e parlamentare è difficilissima e sempre esposta a obiezioni dei più vari generi. Provocatoriamente si potrebbe suggerire a Conte di procedere ad un sorteggio fra coloro che hanno maturato i requisiti per essere esclusi. Se “uno vale uno” il sorteggio appare appropriato e irrespingibile, ma naturalmente non ha nulla a che vedere con la qualità. La verità è che Conte si trova di fronte ad un bivio fatale.

Da una parte sta la chiusura di un’epoca del Movimento con la fuoruscita dei protagonisti. Dall’altra sta la possibilità di circondarsi di un piccolo gruppo di fedelissimi ai quali viene offerto un terzo mandato (ma senza una regola generale si aprirebbe la strada anche ad un quarto quinto mandato e così via). Se opta per la chiusura deve mettere in conto l’ostilità di coloro che dovranno/dovrebbero tornare a casa per sempre e che, forse, lascerebbero un Movimento che non li porta più da nessuna parte.

Scegliendo di fare eccezioni rischia l’accusa di avere travolto uno dei principi fondativi del Movimento e di andare non soltanto verso l’istituzionalizzazione weberiana, ma anche verso la creazione di una piccola casta privilegiata e omologata all’esistente negli altri partiti. Tertium non datur, ma mi aspetto molte acrobazie.
 

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