La storia della bambina di 15 mesi, nata in Ucraina e poi abbandonata alle cure di una babysitter da una coppia italiana, restituisce impulso al dibattito sulla gestazione per altri e impone un ulteriore sforzo di riflessione sulla necessità di una regolamentazione stringente. I dati del ministero della Salute ci dicono che in Italia il 15 per cento delle coppie incontra problemi di fertilità. Secondo l’indagine del Censis, invece, oscillerebbero fra 20 e il 30 per cento. Tra queste, quasi il 70 per cento con età compresa tra i 35 e i 40 anni.

La coppia al centro della vicenda scopre qualche anno fa di non poter concepire spontaneamente. Non sappiamo molto della diagnosi medica, che rimane giustamente privata. Sappiamo, però, che viene suggerita loro la strada della gestazione per altri.

La gestazione per altri è una forma di procreazione medicalmente assistita, in cui è necessario il contributo di altre donne che concorrano alla nascita: a volte, la donatrice che mette a disposizione gli ovociti e la portatrice che offre il proprio corpo per la gravidanza. Grazie al loro aiuto, i genitori così detti intenzionali – cioè coloro che vorrebbero un figlio, ma necessitano dell’aiuto di altre donne – hanno la possibilità di realizzare il proprio desiderio.

Nata e abbandonata

Così, la coppia decide di tentare, ma nel nostro paese la gestazione per altri non è consentita. La legge 40 del 2004 – che regola la procreazione medicalmente assista – infatti, la vieta. E, nonostante ci siano diverse proposte in campo, fra cui quella promossa dall’associazione Luca Coscioni, ad oggi non è seriamente in discussione una modifica. Come molte altre coppie italiane, quindi, sono costretti a rivolgersi all’estero e finiscono per scegliere una clinica ucraina. Tutto procede e nasce una bambina.

La questione sarebbe già sufficientemente complessa fino a qui, ma ha un seguito inaspettato. La bambina viene riconosciuta dalla coppia, tuttavia non viene portata in Italia. Resta in Ucraina ed è affidata a una babysitter, assunta per prendersene cura.

I mesi passano e sembra che i genitori siano sempre meno solleciti nella richiesta di informazioni e nei pagamenti. La babysitter, probabilmente preoccupata dal protrarsi dell’attesa e gravata dalla responsabilità, nonché privata delle risorse economiche, denuncia tutta la storia. La bambina viene portata in Italia, grazie a un’operazione congiunta delle forze dell’ordine e della croce rossa. Ormai non è più una neonata, ha compiuto un anno e quattro mesi.

Merce da banco

Non c’è ragione per negarlo, la vicenda – per quanto ancora avvolta dall’incertezza – è sconcertante. E proprio per questo, è brandita da alcuni come una clava. Viene trasformata in un banco di prova per condannare la gestazione per altri, da un lato appiattendone le complessità, dall’altro accendendo ad arte i riflettori sugli aspetti più controversi.

Un meccanismo simile è stato innescato in occasione della recentissima campagna di sconti legata al black friday, promossa dalla nota clinica Biotexcom, che di gestazione per altri si occupa proprio in Ucraina. In questo caso Matteo Salvini ha definito su Twitter la pratica un crimine contro l’umanità.

La levata di scudi è arrivata anche di fronte alla notizia che in primavera sarà inaugurata a Milano la fiera della procreazione assistita e della gestazione per altri. I toni si sono accesi e la discussione – che attraversa in maniera divisiva il mondo politico, l’opinione pubblica e i femminismi – ha descritto questa iniziativa come il tempio immorale dei figli ordinati su misura, o il luogo dove i bambini diventano merce da banco.

Una questione politica

Gestazione per altri è di per sé un’espressione controversa. Nominarla pone già una quesitone politica. Sono molti, infatti, i termini discutibili per identificarla, come per esempio “utero in affitto” – che oltre ad essere brutale, ha anche l’aggravante di non tenere in considerazione la piena consapevolezza delle donne coinvolte.

È innegabile che esistano degli aspetti etici a cui prestare la massima attenzione. Proprio per questo, però, è necessario aprire una riflessione onesta per disciplinare una pratica esistente, che non può e non deve essere affidata ai meccanismi di domanda e offerta del mercato. Una regolamentazione internazionale su basi condivise ha l’onere di segnare perimetri certi, impedendo lo sfruttamento delle diseguaglianze e tutelando le parti più fragili.

Soggetto e non oggetto

La regolamentazione deve porre al centro tutte le donne coinvolte secondo diverse direttrici e naturalmente i bambini. Sono molti i pilastri, emersi nel dibattito che si è sviluppato all’interno del femminismo e non solo.

Innanzitutto, donatrici e portatrici non possono essere sottoposte alla leva del bisogno. Devono trovarsi in una condizione di equilibrio economico, che configuri la scelta di partecipare alla gestazione per altri come libera e fondata sul desiderio di concorrere alla genitorialità altrui. Questo è il primo nodo da non eludere. Evitare lo sfruttamento delle donne, attraverso la verifica effettiva delle condizioni di vita, dello stato di eventuale necessità in cui versano e delle motivazioni che le spingono.

Inoltre, donatrici e portatrici devono avere la possibilità di ripensarci in qualunque momento senza oneri, sia che questo avvenga al principio del percorso, sia che questo avvenga subito dopo il parto.

In molti paesi, poi, i genitori intenzionali e le portatrici a malapena si incontrano, mentre è su questa relazione che si basa il percorso. E deve essere proprio la portatrice depositaria dalla prima e dell’ultima parola, stabilendo se stringere con la coppia in questione un legame così profondo. La relazione e l’autonomia decisionale qualificano la portatrice come soggetto e non come oggetto.

L’importanza della relazione

Un’altra condizione imprescindibile è quella di aver avuto dei figli in precedenza, a fondamento della distinzione dei ruoli che intercorrono fra la maternità e la gestazione per altri.

È proprio la storia delle donne a insegnarci l’inefficacia dei divieti di fronte a fenomeni esistenti. Dove la regolamentazione è più lasca, le donne sono sempre esposte a rischi maggiori. È sufficiente pensare a quante hanno pagato anche con la vita quando l’aborto era illegale. Il divieto, a fronte di una pratica ormai consolidata, avrebbe il solo effetto di lasciare la questione in mano al mercato illegale e allo sfruttamento. Esattamente ciò che auspica di eliminare chi invoca a gran voce la messa al bando della gestazione per altri.

Sono molte le coppie – per lo più eterosessuali, vale la pena ricordarlo – che ricorrono alla gestazione per altri, allargando i nuclei familiari a figlie e figli voluti, amati – non certo trascurati. I limiti della gestazione per altri vengono spesso rintracciati anche nel senso di estraneità fra genitori e figli, che potrebbe amplificarsi per l’assenza di un legame genetico e per la mancata esperienza della gravidanza.

Eppure, non sono né la genetica, né la gravidanza a rendere gli esseri umani genitori, e i bambini figli. Sono la relazione, la responsabilità, il desiderio. Ce lo insegnano anche le tante storie di adozione e la consapevolezza, ormai acquisita, che la relazione con i figli si costruisce, non è certo innata. Comunque arrivino nelle nostre vite.

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