Matrimonio egualitario, l’Europa dei diritti fondamentali prevale sulle forzature illiberali

Se l’Unione Europea è oggi un conclamato esempio di democrazia militante, le sue Corti più alte incarnano questo ideale di lotta in modo sempre più vigoroso. La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, relativa al matrimonio tra persone dello stesso sesso, conferma inoltre come l’opposizione al crescente illiberalismo passi, in primo luogo, per la capillare e inflessibile difesa dei diritti fondamentali. Su richiesta della Corte amministrativa suprema della Repubblica di Polonia, la Corte dell’Ue era chiamata a risolvere un conflitto tra le norme nazionali e quelle europee. Il caso in esame riguardava due cittadini polacchi, convolati a nozze in Germania, ai quali era stata rifiutata la trascrizione dell’atto di matrimonio, dal momento che la Polonia ancora non prevede alcuna legge che regoli l’unione tra persone dello stesso sesso. Géza Buzás-Hábel: «Ho organizzato il Pride in Ungheria e adesso rischio il carcere» Il 25 novembre, i giudici europei hanno stabilito che tale rifiuto viola il diritto alla libera circolazione e quello al rispetto della vita privata e familiare, garantiti dal diritto dell’Unione e dalla Carta dei diritti fondamentali. La Corte non impone alla Polonia di introdurre il matrimonio egualitario – né potrebbe – ma ribadisce che gli stati membri sono tenuti a riconoscere, almeno ai fini dell’esercizio dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione, lo status coniugale validamente acquisito in un altro stato membro, tramite procedure non discriminatorie e prive di indebiti ostacoli. In tal modo, i diritti fondamentali (almeno in Europa) si confermano il più potente tra gli argini alle crescenti forzature illiberali. In effetti, mentre in ogni dove, sulla scia dell’alto magistero orbanian-trumpiano, tornano a diffondersi posizioni che vedono nel matrimonio un diritto riservato alle persone eterosessuali e ancora scambiano la famiglia “tradizionale” con quella “naturale”, la legge non si piega e prevale su questo cieco neo-oscurantismo. Prevale, per giunta, irrobustendo il suo corpo già forte e plastico, che ben resiste agli urti e non teme di ingiallire col tempo. La sentenza di martedì 25 si basa infatti su un’altra storica decisione – la “sentenza Coman” del 2018 – in cui la Corte dell’Ue giungeva a una significativa conclusione di natura politica prima e più che giuridica. Non solo asseriva che il termine “coniuge” è neutro rispetto al genere e che uno stato membro deve riconoscere, ai fini del diritto di soggiorno, il matrimonio tra persone dello stesso sesso validamente contratto in un altro stato europeo. Ben più che questo, metteva nero su bianco che restrizioni dei diritti fondamentali basati su una presunta identità nazionale, o che facciano riferimento all’ordine pubblico, non sono ammissibili. Immigrazione, la tutela dei diritti umani non si può piegare alla propaganda politica In questa chiave, il messaggio veicolato dalla recente sentenza va ben oltre il riconoscimento della legittima aspirazione dei cittadini europei, non importa di quale genere, a dar vita a una famiglia e a godere della certezza di poter continuare detta vita in qualsiasi stato europeo, specie quello d’origine. In tutta Europa, infatti, le Corti (alte e meno alte) sono impegnate in un corpo a corpo con i nuovi governi a trazione esecutiva per determinare su quale base e a chi lo stato debba riconoscere i diritti. Questi governi, che vorrebbero assegnare al potere esecutivo la funzione ultima di determinare quali siano i valori fondamentali della società, pretendono che la legge e i suoi funzionari rispondano flessuosamente al loro richiamo. Essi credono quindi di poter disfare a colpi di decisionismo un secolo e più di progresso morale e civile in nome di ciò che dicono essere il bene supremo del paese. A questa inquietante deriva resistono le Corti, che proteggono i diritti fondamentali da sempre nuove forzature quali esito di una storia giuridica non negoziabile, neppure dinanzi a una presunta volontà del popolo. Si tratta insomma dell’ennesima istanza di una lotta – molto risalente, ma oggi viva più che mai – su quale organo dello stato sia l’interprete ultimo del diritto. Lotta che, come si potrà ben comprendere, riaffiora sotto le mentite spoglie delle troppe riforme della giustizia circolanti oggi in Europa. La commissaria Ue: «Lancio la nuova strategia Lgbtqi+ per un’Europa dell’uguaglianza»